News | 15.05.2025

TRIBUTI: rassegna stampa N° 5/2025 aprile

TRIBUTI: rassegna stampa N° 5 / 2025

Rassegna stampa mensile
IMU | TARI | TRIBUTI MINORI

Custodi di equilibrio e rigore: le sfide dei tributi locali nel mese appena trascorso

Cari custodi Responsabili dei tributi comunali, benvenuti al quinto numero della Newsletter Tributi del 2025. Anche questo mese proseguiamo insieme il nostro viaggio tra norme, sentenze e prassi operative, con l’obiettivo di offrire strumenti concreti e aggiornati per affrontare con consapevolezza e rigore l’attività quotidiana negli uffici tributi.
Partiamo da un caso concreto: è possibile che una società si esenti l’Imu se il rappresentate legale ha la residenza anagrafica all’interno dell’immobile? La soluzione risulta negativa in quanto l’esenzione spetta solo alle persone fisiche proprietarie e residenti e non anche alle giuridiche.
Per quanto riguarda i temi della rassegna stampa di questo mese tratteremo la mancanza dell’obbligo dichiarativo per gli immobili in condizioni di inagibilità relativamente alle situazioni conosciute dal comune e la rideterminazione della rendita catastale per gli impianti di produzione di energia eolica. Troveremo una recente ordinanza della Cassazione che affronta la questione della legittimità del pagamento della Cosap da parte di concessionari autostradali e che, in assenza dell’obbligo di concessione, implica la non debenza della Cosap. Ci soffermeremo sull’onere della prova in capo al contribuente per l’esenzione Imu relativamente agli alloggi sociali e che tale esenzione risulta destinata solo agli immobili che rispettano le caratteristiche specifiche definite da un decreto ministeriale e non a tutti gli alloggi precedentemente gestiti dagli ex I.A.C.P. Affronteremo il nuovo bonus sulla Tari, sottolineando un paradosso nel suo funzionamento. Con la nuova componente perequativa (Ur3) di 6 euro per utenza per finanziare il bonus, in molti comuni l’importo raccolto tramite questa componente supererà il costo effettivo del bonus riconosciuto a livello locale.
Per quanto riguarda le modifiche d’ufficio delle rendite catastali effettuate dall’Agenzia delle Entrate analizzeremo la recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria che ritiene che l’avviso di accertamento catastale fondato sul cosiddetto metodo comparativo è illegittimo per difetto di motivazione se non identifica gli immobili comparati a quello accertato. Vedremo una recente ordinanza della Cassazione che riguarda l’esenzione dall’IMU per gli enti non commerciali che svolgono attività didattica, concentrandosi sulla natura del corrispettivo simbolico. La Corte chiarisce che il parametro del costo medio delle scuole paritarie, suggerito dalle istruzioni ministeriali, non è valido per determinare se un corrispettivo sia simbolico ai fini dell’esenzione.
In controtendenza con la Cassazione la sentenza della CGT del Lazio che ritiene inesistente e non sanabile la notifica via PEC se l’indirizzo del mittente non figura nei registri pubblici.
Per quanto riguarda i “beni merce” elencheremo tre sentenze.
Nella prima la Cassazione ritiene obbligatoria la presentazione annuale della dichiarazione Imu ai fini di godere delle relative agevolazione. Nella seconda viene negata l’agevolazione sia nel caso di locazione, anche solo temporanea del bene sia nell’ipotesi di unità acquistata per essere ristrutturata e poi venduta.
Mentre nella terza la Corte Costituzionale ritiene che i fabbricati di un’impresa destinati alla vendita e non locati costituiscono un valido indice di capacità contributiva perché quel che rileva ai fini dell’obbligo del pagamento dell’Imu.

Non da ultimo, il tema degli immobili pertinenziali al culto: confermata l’esenzione della casa sita nei pressi di una chiesa destinata, quale casa canonica, ad abitazione del parroco addetto alla chiesa, anche se la stessa risulta temporaneamente non abitata, essendo il vincolo pertinenziale collegato ai beni e non alle persone che si trovano ad operare nei fabbricati in questione.
Chiudiamo con un concetto che riassume bene il senso del nostro lavoro: presidio. Essere responsabili dei tributi oggi significa presidiare con attenzione ogni norma, ogni scadenza, ogni sentenza. Ma anche ascoltare, interpretare, guidare. Questa newsletter vuole essere uno strumento per farlo meglio, ogni mese.

Con stima e fiducia in un domani più equo,
Dott. Paolo Finotto – Specialista in Tributi di iSimply|Gruppo2G

 

Alberto Cordera – Supporto clienti e formazione tributi
Per contatti e informazioni sui nostri servizi: info@isimply.it

 

PROBLEMATICA/QUESITO

La società Pinco Pallino Snc è proprietaria di un immobile di categoria A/7 nel quale il Sig. Pinco Pallino ha la residenza anagrafica e dimora abitualmente. La società non versa l’imposta.
E’ corretto?

Soluzione: No, non essendoci coincidenza tra possesso e utilizzo la società deve pagare l’imposta. Lo stesso dicasi se la sede della stessa fosse all’interno della A/7 in quanto trattasi di persona giuridica.
Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, ha la residenza anagrafica e dimora abitualmente. Una società non può dimorare abitualmente all’interno di un’abitazione come una persona fisica.

 

1 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/

IMU, immobile inagibile e obbligo dichiarativo

Va riconosciuta la riduzione IMU per immobile inagibile anche in assenza di dichiarazione se conosciuta dal Comune. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione n.7048/2025 ha stabilito che, la conoscenza da parte del Comune dello stato di inagibilità, attraverso atti già formalmente presentati, rende irrilevante la mancanza della dichiarazione formale.
La ricorrente non aveva (formalmente) dichiarato lo stato di inagibilità dell’immobile oggetto dell’imposta; tuttavia, la stessa sosteneva che era noto al Comune, in quanto erano state a questo presentate le pratiche per la ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso (anche con allegazione di fotografie che evidenziavano lo stato dell’immobile negli anni interessati, privo di copertura).
Anche in assenza di richiesta del contribuente, quando lo stato di inagibilità è perfettamente noto al Comune, va riconosciuta l’agevolazione, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente di cui è espressione anche la regola secondo cui a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune» (Sez. 6 – Sez. 5, Ordinanza n. 8592 del 26/03/2021, Rv. 660884 – 01; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 12015 del 10/06/2015, Rv. 635869 – 01, e Sez. 5, ordinanza n. 10314, del 29/01/2020 – depositata il 29/5/2020 –). Il regolamento comunale, quale fonte secondaria, non può derogare alla normativa primaria.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43411763

 

1 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/

IMU fabbricati imbullonati. Rideterminazione rendita

L’ordinanza in commento ha ad oggetto un contenzioso catastale relativo alla determinazione della rendita catastale di un immobile D a seguito della norma che ha previsto lo scorporo del valore dell’impiantistica. L’ordinanza n. 7399/2025 richiama la disciplina in materia.
La corte di legittimità ha più volte affrontato e risolto il problema della rilevanza, ai fini della determinazione della rendita catastale, dei pali o torri eoliche che, all’interno delle centrali di produzione, sorreggono gli impianti aerogeneratori propriamente detti (navicella e rotore), alla luce dello jus superveniens rappresentato dall’art. 1, comma 21, della legge n. 208/2015 cit., secondo cui “A decorrere dal 10 gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo”.
L’orientamento interpretativo consolidatosi è nel senso che ai fini del calcolo della rendita catastale dell’impianto eolico, a mente dell’art. 1, comma 21, della legge n. 208/2015, non va computata la torre che sostiene il peso della navicella e del rotore, trattandosi di elemento funzionale allo specifico processo produttivo.
La disposizione sopravvenuta si colloca entro un quadro normativo di rilevanza catastale segnato dalla nozione di “immobile urbano” (art. 4 r.d.l. n. 652/39), di “unità immobiliare” (art. 2, co. 3, dm 2.1.98 n. 28) e di “costruzione stabile” comunque connessa al suolo, e come tale già ritenuta rilevante nella determinazione di rendita (art. 1 – quinquies d.l. n. 44/05, conv. in legge n. 88/05 con riguardo alle centrali elettriche).
Alla luce di questo quadro normativo, già vagliato anche dal giudice delle leggi (C. Cost. n. 162/08), si era ritenuto che tanto le pale eoliche quanto le turbine, così come ogni altro elemento non separabile (anche se fisicamente amovibile) senza pregiudizio dalla funzione precipua di generazione energetica, dovessero rilevare ai fini della rendita dei parchi eolici e delle centrali elettriche, da accatastarsi in categoria D1 – Opifici (cfr., tra le tante, Cass. nn. 4028/2012, 24815/2014, 32861/2019), il che ha trovato ulteriore conferma nella circolare 6/2012 dell’Agenzia del Te(…);Determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare: profili tecnico – estimativi”), non in sé, ma in quanto legislativamente richiamata e recepita dall’art. 1, comma 244, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015).
Tale contesto normativo è stato inciso (con effetto dal 2016) dall’art. 1, comma 21, della legge n. 208/2015, il quale, con una tecnica legislativa “per esclusione”, descrive, nella sua prima parte, le caratteristiche di bene immobile o parte integrante di esso (suolo, costruzioni ed altri elementi ad essi strutturalmente connessi), che ne accresce l’utilità ed il valore, per poi escludere, nella sua ultima parte, tutte quelle componenti che sono funzionali al processo produttivo (macchinari, congegni, attrezzature, impianti), meglio e più brevemente noti con la denominazione di ‘imbullonati’; sicché la scelta legislativa è stata, quindi, quella di sottrarre dal carico impositivo del tributo locale il valore delle componenti impiantistiche secondo un criterio distintivo che privilegia la destinazione ad attività produttive dei settori della siderurgia, manifattura, energia indipendentemente dalla natura strutturale e dalla rilevanza dimensionale del manufatto che fosse o meno infisso al suolo (cfr. Cass. n. 20726/20).
L’amministrazione finanziaria ha emanato, in applicazione della legge del 2015, varie disposizioni interne (Circolare 2/E del febbraio 2016; Nota Direzione Centrale Catasto n. (…); Circolare n. 27/E del 13 giugno 2016) con le quali ha inteso includere le strutture di sostegno e le torri degli aerogeneratori delle centrali eoliche (siccome aventi i caratteri della solidità, della stabilità, della consistenza volumetrica, nonché della immobilizzazione al suolo) tra le “costruzioni” e, come tali, quindi, da considerare nella stima diretta finalizzata alla determinazione della rendita catastale della centrale eolica.
Va, pertanto, ritenuto che la torre eolica, benché stabilmente infissa al suolo, assolva per sua natura, oltre alla funzione passiva di sostegno al pari di un traliccio di una linea elettrica e, quindi, di mero supporto statico, anche quella di componente essenziale ed attiva della macchina, che svolge una funzione di contrasto della forza impressa dal vento sulle pale, al fine di consentire alle stesse di offrire la massima resistenza possibile e al generatore di sfruttare la potenza del vento per generare così l’energia elettrica (cfr. Cass. n. 21462/2020, cit.), con conseguente sua esenzione dal carico impositivo, al pari del rotore e della navicella.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43411797

 

2 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/  

Cosap non dovuta se non c’è obbligo della concessione

Può essere ritenuta legittima la richiesta del pagamento del Cosap in assenza di esenzioni nei confronti del concessionario autostradale; tuttavia il presupposto che non ci sia l’obbligo di munirsi di concessione per occupare il suolo pubblico comporta che il canone non sia dovuto; è quanto affermato dalla Cassazione, con l’ordinanza n. 5775/2025.
Per la Cassazione l’occupazione del soprasuolo non poteva ritenersi abusiva, come contestato nel verbale impugnato, per l’inesistenza giuridica in capo alla società autostradale dell’obbligo di munirsi della concessione.
Secondo i giudici della Cassazione le affermazioni svolte nella sentenza impugnata in ordine alla non debenza del Cosap appaiono costituire mere conseguenze argomentative della ritenuta inesistenza di tale obbligo. In altri termini, il Giudice amministrativo, una volta negato l’obbligo di munirsi di concessione per occupare il suolo pubblico mediante i pontoni autostradali e negato, quindi, il carattere abusivo dell’occupazione, ha fatto a ciò conseguire, con mera valenza argomentativa, la non debenza del canone.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/?iddoc=43412359#/showdoc/43412359/?ref=notiziedel_giorno_tributi_interno-tributi_interno

 

7 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com  

Addizionale all’Irpef, per gli scaglioni possibile un’altra conferma tacita

Mantenere le aliquote 2024 non ipoteca le scelte sui prossimi due anni.
Entro il 15 aprile i Comuni devono approvare le aliquote per l’addizionale comunale all’Irpef. Dal 2025 gli scaglioni di reddito sono stati ridotti definitivamente a tre, ma per l’addizionale comunale il legislatore ha replicato il regime previsto per il 2024, dando la possibilità ai Comuni di mantenere una differenziazione su quattro scaglioni, ma solo per un triennio.
La legge di Bilancio 2025 (207/2024) offre tre possibilità, da esercitare entro il 15 aprile.
Il comma 750 prevede che i Comuni per il 2025 modifichino con delibera scaglioni e aliquote dell’addizionale comunale in conformità alla nuova articolazione prevista per l’Irpef nazionale.
Il comma 751 dà la possibilità ai Comuni, nelle more del riordino della fiscalità degli enti territoriali, di determinare per i soli anni d’imposta 2025, 2026 e 2027, aliquote differenziate sulla base dei precedenti quattro scaglioni di reddito.
Il comma 752 prevede che, qualora i Comuni non adottino la delibera prevista dai commi 750 e 751 o non la trasmettano nei termini, l’addizionale Irpef venga applicata sulla base degli scaglioni di reddito e delle aliquote già vigenti in ciascun ente nell’anno precedente a quello di riferimento. Pertanto, quest’ultima previsione permette ai Comuni di non deliberare alcunché, confermando così tacitamente le misure previste nel 2024, anche nel caso in cui si fosse differenziato su quattro scaglioni.
Ovviamente i Comuni che hanno l’aliquota unica non devono deliberare nulla, come pure quelli che hanno deliberato prima dell’entrata in vigore della legge 207/2024, ma con misure che rispettano le nuove prescrizioni. E si ritiene che se il Comune decide di mantenere i quattro scaglioni, può nel 2026 o 2027 passare ai tre scaglioni, perché la legge di Bilancio disciplina un regime transitorio applicabile nei tre anni, e non dice che la scelta operata per il 2025 non è modificabile nel biennio successivo.
Anche le delibere sull’addizionale sono soggette all’obbligo di pubblicazione. L’articolo 14, comma 8 del Dlgs 23/2011 prevede che le delibere di variazione dell’addizionale Irpef hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di pubblicazione sul sito del Mef, a condizione che la pubblicazione avvenga entro il 20 dicembre dell’anno a cui la delibera si riferisce.
Il Comune può prevedere soglie di esenzione, che va intesa come limite di reddito al di sotto del quale l’addizionale non è dovuta; se si supera la soglia, l’addizionale si applica a tutto il reddito. Pertanto, se la soglia è fissata a 10mila euro, il contribuente con 12mila di euro si vedrà tassato l’intero reddito.
Non dovrebbe poi essere possibile vincolare la fascia di esenzione a particolari situazioni del soggetto passivo o del suo nucleo familiare, in quanto la normativa fa riferimento solo a requisiti reddituali. Poi c’è il problema se il Comune possa deliberare per due scaglioni la stessa aliquota. Per il Mef sembrerebbe di no, visto che sul sito del Dipartimento si precisa che le aliquote, oltre a essere articolate secondo i medesimi scaglioni stabiliti per l’Irpef nazionale, devono essere «diversificate e crescenti in relazione a ciascuno di essi». Tuttavia la Corte Costituzionale, nella sentenza 8/2014, sebbene con riferimento all’addizionale regionale, ha ritenuto che non violi il principio di progressività che deve informare l’intero sistema tributario nel suo complesso e non il singolo tributo, l’approvazione della medesima aliquota per due scaglioni diversi. Considerazioni che ovviamente valgono anche per l’addizionale comunale.

https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/addizionale-all-irpef-gli-scaglioni-possibile-un-altra-conferma-tacita-AG43ufyD?cmpid=nl_ntplusfisco

 

7 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com/  

Imposta di soggiorno oltre quota 1 miliardo

Il Giubileo porta un ritocco verso l’alto delle tariffe con aumenti a doppia cifra. Nel 2024 un gettito di poco superiore al miliardo e quest’anno si arriverà a 1,2 miliardi di euro. Questo l’incasso complessivo dei comuni che hanno adottato l’imposta di soggiorno che negli ultimi anni vede un trend di crescita a doppia cifra. Nel 2024 è stato del 29% e le previsioni per il 2025 parlano di un +16%. Numeri da capogiro quelli calcolati da JFC, società di marketing turistico che ha preparato l’«Osservatorio nazionale sulla tassa di soggiorno». Da ricordare che lo scorso anno l’Italia ha avuto 458,4 milioni di visitatori con +2,5% sul 2023. L’aumento del gettito si spiega con il costante aumento delle amministrazioni locali che adottano il balzello. Nel 2022 erano 1.250 diventate 1.314 nel 2024 e quest’anno secondo i dati JFC si arriverà a quasi 1.400 comuni (sul sito www.ilsole24ore.com l’elenco di quelli che nel 2025 hanno approvato l’introduzione della tassa ndr). Contemporaneamente molte amministrazioni hanno ritoccato all’insù le tariffe 2025 grazie alla legge 213 del 30 dicembre 2023 che prevede in occasione del Giubileo per i capoluoghi di provincia la facoltà di incrementare l’ammontare dell’imposta a carico dei turisti che alloggiano nelle strutture ricettive sul proprio territorio. Aumenti quasi sempre a doppia cifra.Nel 2024 si è formato un ristretto club di quattro regioni dove la tassa frutta oltre cento milioni di gettito. Al primo posto c’è il Lazio con quasi 301 milioni di euro (+59% sul 2023) contro i 189 del 2023. Seguono la Toscana con 121,8 milioni (+13%), la Lombardia (115 milioni e +22,6%) e il Veneto (105 milioni + 9%). La classifica delle città d’arte vede invece sul gradino più alto Roma con 292 milioni (+61,2%) che precede Firenze dove gli incassi superano i 76,5 milioni e Milano con circa 76,5 milioni (+10%). Tra le destinazioni marittime tra tutte spicca Rimini con circa 14 milioni (+30%). Al secondo posto Sorrento con un gettito di 9,2 milioni (+31,6%) e Jesolo stabile con 5,7 milioni. Tra le centinaia di località considerate anche Como con circa 4,1 milioni (+88%), Abano Terme con oltre 3,7 milioni (+22%) e per la montagna Castelrotto con ben 5,1 milioni (+43,5%).Per quanto riguarda l’impiego concreto di questa tassa di scopo, nelle intenzioni del legislatore dovrebbe servire a migliorare le destinazioni e i servizi per i turisti, i rappresentanti degli albergatori hanno parecchie lamentele. «Pur essendo una tassa di scopo destinata a supportare il turismo la stessa viene destinata per scopi turistici da parte dei comuni solo per una minima parte, inferiore al 20% del totale incassato – commenta Antonio Zacchera, Vice presidente esecutivo di Confindustria Alberghi -. Auspichiamo l’adozione di un regolamento unitario su scala nazionale, evitando la babele di valori che ogni comune attualmente applica, e che la stessa venga destinata agli scopi previsti dalla normativa che l’ha istituita. Infatti secondo i dati Jfc attualmente serve solo a sanare i ’capitoli’ dei bilanci dei comuni che non trovano diversa copertura». Un disappunto in comune con il pensiero di Marco Gottardo, Direttore generale Federalberghi Veneto che aggiunge: «Il gettito dell’imposta nel Veneto supera i 100 milioni e queste risorse dovrebbero essere largamente impiegate per lo sviluppo del turismo invece che annegare nella finanza generale delle amministrazioni comunali come spesso accade – aggiunge Gottardo -. Auspichiamo un confronto fattivo tra pubblico e privato e in una governance turistica solida che possa offrire opportunità di crescita imprenditoriale e sociale duratura nel tempo». Proprio allo scopo di vederci chiaro su come i comuni usino i proventi della tassa di soggiorno, garantire trasparenza a cittadini e turisti e sanzionare possibili illeciti, il Codacons ha deciso di presentare un esposto alle Corti dei Conti delle varie regioni italiane, affinché aprano una indagine a tutto campo accertando come le amministrazioni locali utilizzino le risorse garantite dall’imposta.

 https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com/art/imposta-soggiorno-oltre-quota-1-miliardo-AGaT230D?cmpid=nl_ntediliziapa

 

8 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/  

Alloggi sociali IMU, l’onere della prova. I requisiti di residenza e dimora

L’ordinanza Cassazione n. 6854/2025. segna un’altra tappa importante nelle vicende relative all’IMU dovuta sugli alloggi sociali, con riferimento all’onere della prova. ATER impugnava gli atti impositivi sul presupposto che gli immobili erano qualificabili come alloggi sociali e quindi da ritenersi esenti dalle imposte. Le questioni affrontate riguardano sia l’applicazione dell’IMU sia della TASI.
PER GLI ALLOGGI SOCIALI   l’esenzione dall’imposta risulta  prevista dall’art. 4 del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, a decorrere dall’1 gennaio 2014; l’analisi delle disposizioni in materia di IMU rivela, dunque, che non è configurabile una coincidenza tra gli immobili regolarmente assegnati dagli ex I.A.C.P. e gli alloggi sociali, atteso che il legislatore, nell’ambito del medesimo contesto normativo, ha disciplinato autonomamente e differentemente le due fattispecie; L’esenzione dal pagamento è prevista, pertanto, solo per gli immobili specificamente destinati ad alloggi sociali, cioè per gli immobili destinati alla locazione che abbiano le caratteristiche individuate dal decreto interministeriale, al che consegue che sono esenti dal pagamento non tutti gli alloggi I.A.C.P., ma soltanto quelli che abbiano le caratteristiche indicate nei parametri stabiliti dal decreto interministeriale; in particolare, è alloggio sociale l’unità immobiliare destinata ad uso residenziale ed oggetto di locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale di ridurre il disagio abitativo di soggetti e nuclei familiari svantaggiati, i quali non sono in grado di avere accesso alla locazione di alloggi nel libero mercato, essendo configurati, tali immobili come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall’insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie; allo scopo di ravvisare il requisito oggettivo dell’imposta, occorre, quindi, distinguere gli «alloggi sociali», così come sopra definiti normativamente, dagli altri alloggi, siccome nella nozione di abitazione principale, per la quale è possibile applicare l’esenzione dell’imposta, vanno ricompresi anche gli immobili che, pur essendo di proprietà dell’ente, sono in sede di locazione destinati e inquadrabili tra gli alloggi sociali, in quanto idonei e volti a soddisfare la medesima finalità pubblica.
L’esenzione può essere pretesa dall’ente di edilizia residenziale pubblica, quale soggetto passivo dell’IMU, a condizione che l’assegnatario adibisca effettivamente l’alloggio a propria abitazione principale, fissandovi la residenza anagrafica e la dimora abituale. Del resto, ciò è stato ulteriormente ed esplicitamente confermato, in sede di nuova disciplina dell’IMU, dal successivo art. 1, comma 741, lett. c, n. 3, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, sancendo, con decorrenza dall’1 gennaio 2020, che «sono altresì considerate abitazioni principali: (…) 3) i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008adibiti ad abitazione principale».
L’equiparazione normativa all’“abitazione principale”, con l’espressa inapplicabilità dell’IMU (ex art. 13, comma 2, lett. b, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo modificato dall’art. 1, comma 707, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), sancisce una sorta di presunzione iuris tantum, essendo fisiologicamente insite la residenza anagrafica e la dimora abituale tra gli obblighi posti a carico dei beneficiari dell’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, la cui inadempienza può comportarne la decadenza. Ne consegue, pertanto, che una volta provata la sussistenza dei requisiti per la qualifica di alloggio sociale, la destinazione ad abitazione principale dell’assegnatario, quale requisito necessario ai fini della sua assegnazione, non richiede una prova ulteriore, ferma restando la possibilità, da parte dell’ente impositore, di fornire la prova dell’inadempimento, da parte dell’assegnatario, ai suoi obblighi di residenza e dimora e conseguentemente negare l’esenzione nel caso specifico in cui ciò avvenga.
Gli alloggi sociali sono stati equiparati in toto all’abitazione principale ed hanno potuto usufruire dell’esenzione dalla TASI( cfr. Cass. n. 29370/2024). Pertanto, in materia di TASI, per il periodo compreso dall’1 gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2015, gli alloggi sociali sono soggetti ad imposizione (salve le detrazioni e le agevolazioni eventualmente previste dai regolamenti comunali, ai sensi dell’art. 1, commi 676 e 731, della citata l. n. 147), essendo equiparati, ai fini IMU, all’abitazione principale dall’art. 13, comma 2, lett. b, del d.l. n. 201 del 2011.

SULL’ONERE DELLA PROVA: I giudici regionali si sono limitati ad elencare i requisiti previsti dall’art. 1, comma 2, del predetto d.m., senza valutare la sussistenza dei requisiti per l’inclusione dei detti immobili nella categoria degli “alloggi sociali” e precisamente senza accertare se gli immobili litigiosi presentassero le caratteristiche di “alloggio sociale”, secondo i parametri stabiliti dal d.m. 22 aprile 2008, in quanto destinati a soddisfare la finalità pubblica di ridurre il disagio abitativo di soggetti e nuclei familiari svantaggiati (Cass. n.14511/2024): in particolare, è alloggio sociale l’unità immobiliare destinata ad uso residenziale ed oggetto di locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale di ridurre il disagio abitativo di soggetti e nuclei familiari svantaggiati, i quali non sono in grado di avere accesso alla locazione di alloggi nel libero mercato, essendo configurati, tali immobili come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall’insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie; sebbene si ritenga che nel caso degli alloggi sociali non si verta in ipotesi di esenzione o di agevolazione, trattandosi di immobili esclusi dalla imposizione per le loro caratteristiche, rimane comunque onere del contribuente provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della non imposizione (Cass., n. 23228/2017). 

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43445133

 

8 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/  

 Il nuovo canone antenne del comma 831bis ( 800 euro) trova applicazione a partire dall’annualità 2022 e alle convenzioni sottoscritte dopo il 1.01.2022

INFRASTRUTTURE WIRELESS ITALIANE Spa (INWIT) ha proposto opposizione ex art. 32 d.lgs 150/2011 avverso l’ “avviso di accertamento esecutivo con irrogazione immediata delle sanzioni e contestuale intimazione di pagamento n. 9 del 23.11.2022”  ricevuto via PEC il 25.11.2022 da parte di Abaco Spa, nella affermata qualità di Concessionario per il Comune di ______________, avente ad oggetto il pagamento di € 12.964,18 a titolo di canone di occupazione spazi ed aree pubbliche, come da allegata tabella occupazioni.
Il ricorrente ritiene illegittima ogni pretesa dell’Ente che si discosti dalla tariffa espressamente prevista per il settore delle comunicazioni elettroniche dall’art. 1/831bis L. 160/2019 (inserito dall’art. 40/5 DL 77/2021 convertito con L. 108/2021), che ha inteso garantire agli operatori di telecomunicazioni un accesso vantaggioso ed agevolato alle aree degli Enti pubblici prevendendo per “ogni impianto insistente sul territorio di ciascun Ente” un canone non superiore ad € 800,00 annui, con esclusione di ogni e qualsiasi altra forma di corrispettivo.
Il concessionario ha ribadito l’inapplicabilità alla fattispecie oggetto di causa della previsione di cui al comma 831bis dell’art. 1 della L. 160/2019, come chiarito dalla nota IFEL del 12.12.2022, da riferire comunque ai canoni pattiziamente stabiliti dopo il 1.01.2022, essendo ivi previsto un termine di pagamento annuale (30.04) successivo alla data di entrata in vigore della stessa nel 2021 (31.07).
Il Tribunale di Treviso, sentenza n. 288/2025 ritiene che il comma 831bis dell’art. 1 L. 160/2019 – entrato in vigore il 31.07.2021 – trova applicazione a partire dall’annualità 2022 e si applica solamente alle convenzioni sottoscritte dopo il 1.01.2022; infatti, il pagamento del canone ivi previsto (nella misura massima di € 800,00 per ogni impianto, con esclusione di ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsiasi ragione o a qualsiasi titolo richiesto) deve avvenire entro il 30 aprile di ogni anno, sicché la norma non può trovare applicazione che con riferimento alle nuove convenzioni sottoscritte a partire dall’anno relativo al primo termine utile per l’adempimento (30.04.2022).
Le convenzioni-contratto oggetto di causa sono tuttavia antecedenti a tale data e sono altresì antecedenti all’entrata in vigore della modifica apportata dall’art. 8bis del DL 135/2018 all’art. 12/3 del d.lgs 33/2016 (di attuazione della Direttiva 2014/61/UE), che – nell’interpretazione dell’art. 93 d.lgs 259/2003 ; ha previsto che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possano essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 dell’art. 93, “restando quindi escluso ogni lato tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto”.
In base ai principi generali, ed il particolare quello di cui all’art. 11 Preleggi della legge nel tempo, gli effetti innovativi della norma si producono certamente con riferimento ai rapporti giuridici sorti successivamente alla sua entrata in vigore.
In definitiva, nel caso di specie, si afferma la legittimità della pretesa del Concessionario nei confronti di INWIT, essendo stato espressamente previsto dal Regolamento CUP per l’anno 2021, all’art. 25/4 che “per i contratti di concessione in essere al 1° gennaio 2021, stipulati con gli operatori dei servizi di telefonia e relativi alle antenne presenti nel territorio comunale, si applicheranno i coefficienti e le relative tariffe approvate dalla Giunta Comunale, individuate per ciascun operatore e valide fino allo scadere delle singole concessioni”.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43445141

 

8 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/  

Versano il canone unico pubblicitario i messaggi pubblicitari nel centro commerciale

Il Tribunale di Torino, sentenza n. 1151/2025 conferma l’impostazione applicata nel precedente regime tributario in ordine all’imponibilità dei messaggi pubblicitari esposti in un centro commerciale, anche se apposti su vetrine di locali sfitti.
Non risulta accoglibile la doglianza circa la natura non pubblicitaria dei messaggi affissi all’interno del centro commerciale, motivata dall’opponente con l’affermazione che essi non avrebbero lo «scopo di promuovere e diffondere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato» perché apposti su vetrine di locali sfitti. I cartelloni pubblicitari avrebbero perciò il solo fine di abbellire i locali del centro commerciale con funzione esclusivamente estetica e non di promozione di alcuna attività di impresa.
I messaggi pubblicitari oggetto di causa recano, a mero titolo esemplificativo: «shopping makes everything better», «un nuovo centro dedicato a te prossimamente qui» e ancora «nuove storie nuove passioni, prossimamente qui» e, al di là della funzione estetica che l’opponente attribuisce loro, mirano ad attirare l’attenzione del cliente frequentatore del centro commerciale e ad indurlo a recarvisi nuovamente in vista delle nuove aperture, invitando implicitamente all’acquisto all’interno del centro stesso e dei suoi negozi.
Occorre, infatti, distinguere la funzione sostanzialmente decorativa da quella pubblicitaria in grado di veicolare un messaggio diretto a raggiungere una pluralità di possibili acquirenti. Nel caso di specie, come accertato nella sentenza impugnata si tratta di “grandi fotografie che coprono l’intera superficie delle vetrine di un supermercato e rappresentano cibi vari (latte, verdure, pane, formaggi, ecc.), materie prime, scene agresti, persone che cucinano, persone che consumano pasti in compagnia della famiglia o di amici”. Tali immagini inequivocabilmente promuovono l’attività dell’esercente e sono dirette a richiamare l’attenzione dell’eventuale acquirente, in quanto sono strettamente attinenti all’attività commerciale svolta all’interno del supermercato. Va ritenuta, pertanto, la natura pubblicitaria dei mezzi sottoposti a tassazione oggetto del presente giudizio, assolvendo gli stessi ad una funzione promozionale di vendita» (cass. civ., n. 1359/2019, in motivazione; v. anche cass. civ., n. 15449/2010).

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43445143

 

8 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/  

 Non è possibile chiedere il pagamento del canone per occupazioni o esposizioni senza un titolo amministrativo valido

Al quinto anno di gestione del Canone Unico Patrimoniale le criticità e i modelli di gestione dell’entrata sono, usando un’espressione ottimista, ancora in fase di perfezionamento. Nella maggior parte delle realtà comunali e provinciali, stiamo ancora vivendo una gestione ICP – Imposta Comunale sulla Pubblicità, e TOSAP/COSAP mascherate da CUP. Non si è riusciti nei fatti a realizzare quel passaggio d’impostazione che imponeva la nuova entrata collegata direttamente e indissolubilmente agli aspetti amministrativi del rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni.
Quasi sempre troviamo banche dati sulle quali gestire gli incassi attesi per le occupazioni di suolo pubblico e per le diffusioni pubblicitarie presenti nel proprio territorio di competenza, che non tengono minimamente conto se i manufatti sono in regola con il titolo amministrativo necessario per la loro presenza lungo le strade o in vista di esse.
Eppure la normativa del Canone Unico è chiara nel differenziare le situazioni tra ciò che è esposto o occupa suolo sulla base rispettivamente di una autorizzazione o di una concessione, e ciò che invece rientra nel presupposto applicativo senza un regolare titolo amministrativo o con un titolo scaduto. Situazioni che, come sappiamo, dovrebbero peraltro portare ad una quantificazione diversa del canone e della indennità. La lettera G del comma 821 della Legge 160/2019 infatti prevede: “g) per le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari realizzate abusivamente, la previsione di un’indennità pari al canone maggiorato fino al 50 per cento, considerando permanenti le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile e presumendo come temporanee le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto da competente pubblico ufficiale”.
Una differenziazione del calcolo che non può essere ignorata. Non è possibile continuare a chiedere il pagamento del canone per occupazioni e esposizioni pubblicitarie senza un titolo amministrativo valido. Eppure si continua a farlo, come se nulla fosse cambiato rispetto ai precedenti prelievi.
La principale criticità alla base di questa mancata svolta nella gestione del prelievo dedicato alle occupazioni di suolo pubblico e alle esposizioni pubblicitarie è sicuramente rappresentata dall’inadeguatezza delle banche dati. Problematica emersa fin dai primi mesi di regime CUP e che, nella maggior parte dei casi, ritroviamo ancora intatta a distanza di quattro anni.
La mera migrazione dei dati dai precedenti prelievi non poteva e non può ritenersi esaustiva nel nuovo contesto normativo. Salvo poche eccezioni non si è dato seguito alla richiesta sincronizzazione delle posizioni soggette a canone con le rispettive concessioni e autorizzazioni. Diverse occupazioni di suolo pubblico e molte, probabilmente la maggior parte, delle esposizioni pubblicitarie, hanno il titolo amministrativo scaduto o non l’hanno mai ottenuto. Situazione figlia di una gestione dei prelievi precedenti quando gli uffici comunali e i concessionari erano concentrati solo sul presupposto tributario e spedivano annualmente le richieste di pagamento senza richiamare il titolo autorizzatorio, e senza condizionarne l’invio. Ancora oggi, e tutto lascia presagire che sarà così anche per il prossimo futuro, assistiamo a situazioni in cui occupazioni ed esposizioni pubblicitarie hanno concessioni ed autorizzazioni scadute nel loro periodo originario e che proseguono regolarmente ad insistere sul territorio comunale con il solo pagamento del Canone Unico, in una sorta di legittimazione a continuare a occupare o a esporre oltre il termine autorizzato.
Il legislatore correttamente ha previsto una svolta epocale nella gestione dei cosiddetti tributi minori, legando indissolubilmente le due fasi, amministrativa e di riscossione del canone. Oggettivamente, al lato pratico, non è stato facile l’adeguamento alle novità. Serve certamente tempo e organizzazione, probabilmente occorreranno anni, per ricucire questo rapporto necessario tra il rilascio delle concessioni e la gestione dell’entrata. È facile affermare come su questo tema la maggior parte degli Enti locali siano tuttavia ancora fermi al 1° gennaio 2021. Pochi sono infatti i Comuni virtuosi che hanno avviato un processo di aggiornamento delle procedure, pochi gli uffici già organizzati con sinergie tra settori diversi e sistemi informatici aggiornati e in grado di garantire il corretto iter richiesto con il nuovo canone.
In questi ultimi anni, un certo tipo di organizzazione e rinnovamento nella gestione dei mezzi pubblicitari e delle occupazioni di suolo pubblico assoggettati al canone, è stato intrapreso dai comuni di maggiori dimensioni, grazie alle adeguate risorse finanziarie e di personale che possono mettere in gioco, tuttavia, nella stragrande maggioranza degli enti locali italiani, per lo più di piccole dimensioni e con scarse disponibilità di forza lavoro e finanziarie, si proseguirà con una gestione deficitaria ben distante dagli intenti del Legislatore che ha visto nel canone un’arma per riorganizzare concretamente gli impianti pubblicitari e le  occupazioni di suolo pubblico, in considerazione del loro impatto sul territorio gestito.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43445205

 

9 aprile 2025 | Fonte:  https://ntplusfisco.ilsole24ore.com

Se è irregolare la gara per la riscossione dei tributi il giudice può annullare l’atto impositivo

La Cassazione ricorda che spetta al contribuente specificare sotto quale profilo il provvedimento amministrativo di concessione è illegittimo. Se il contribuente contesta nello svolgimento della procedura di evidenza pubblica l’irregolarità dell’affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali, è onere del giudice tributario verificarne la conformità e procedere, qualora vi fossero i presupposti, alla disapplicazione degli atti relativi all’affidamento e al conseguente annullamento dell’atto impositivo o esattivo. È quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza 7493/2025.
Il contenzioso nasce dall’impugnazione di un’ingiunzione di pagamento a seguito di avviso di accertamento per omesso versamento dell’Ici notificata dall’ente concessionario della riscossione e accertamento. Entrambi i giudizi di merito confermavano la pretesa tributaria ritenendo il concessionario pienamente legittimato ad emettere gli atti impositivi e che la contestata violazione della procedura di affidamento esulasse dai poteri del giudice tributario e sottratta alla giurisdizione di quest’ultimo.
Con il ricorso in Cassazione il contribuente insisteva nel denunciare l’illegittimità dell’affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi comunali e, conseguentemente, la carenza di legittimazione impositiva attiva in capo al concessionario.
Preliminarmente la Corte ricorda che, relativamente all’illegittimo affidamento dell’incarico al concessionario, è onere del contribuente specificare sotto quale profilo il provvedimento amministrativo è illegittimo, posto che la disapplicazione può conseguire solo dimostrando la sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto come l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere.
Nel caso di specie, avendo il contribuente regolarmente contestato la regolarità del conferimento dall’ente impositore alla concessionaria del potere di accertamento o di riscossione – in relazione al prodromico svolgimento della procedura di evidenza pubblica – , il giudice tributario avrebbe dovuto verificare tale aspetto e, nell’eventualità, disapplicare gli atti relativi all’affidamento con il conseguente annullamento dell’atto impositivo per difetto di legittimazione sostanziale in capo alla concessionaria.
Con tale pronuncia viene rimarcato il principio del potere di disapplicazione, riconosciuto alle Corti di giustizia tributaria dall’articolo 7, comma 5, del Dlgs 546/1992, degli atti amministrativi illegittimi presupposti agli atti impositivi.
Sulla base di questi principi e, per il rinvio disposto dai giudici di legittimità, spetterà alla Corte tributaria stabilire se ci sono stati eventuali profili di illegittimità dell’atto concessorio e quindi disapplicarlo.
Qualora i giudici dovessero propendere per quest’ultima decisione ne deriverebbe che il venir meno dell’atto presupposto invaliderebbe l’atto successivo venendo meno la situazione giuridica che costituisce la condizione necessaria per la sua legittima esistenza.

 https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/se-e-irregolare-gara-la-riscossione-tributi-giudice-puo-annullare-l-atto-impositivo-AGpKpPsD?cmpid=nl_ntplusfisco

 

10 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com

La fiscalità della crisi di impresa si allarga ai tributi locali

Il Ddl varato il 9 aprile dal Consiglio dei ministri estende la portata della transazione fiscale. Una possibilità già prevista nella composizione negoziata.
Transazione fiscale applicabile anche ai tributi locali in tutti gli strumenti di regolazione della crisi e nella composizione negoziata ed estensione dei termini sino al 31 dicembre 2025 per la modifica del regime tributario delle procedure concorsuali e degli altri istituti di risanamento. Sono queste le novità relative alla fiscalità della crisi contenute nel disegno di legge approvato il 9 aprile dal Consiglio dei ministri per l’attuazione della delega fiscale prevista dalla legge 111/2023 (si veda il Sole 24 Ore del 10 aprile).
L’articolo 9 già prevedeva l’introduzione di un accordo sul pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi, anche locali, nell’ambito della composizione negoziata e nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e, in forza di tale previsione, con il Dlgs 13 settembre 2024 n. 136 («correttivo ter»), la transazione fiscale era già stata in effetti introdotta nella composizione negoziata, mediante l’inserimento del comma 2-bis nell’articolo 23 del Codice della crisi; ciò, tuttavia, solo con riguardo ai crediti delle agenzie fiscali e dell’agente della riscossione e non anche a quelli di cui sono titolari gli enti locali e le regioni. Da qui la necessità di un successivo intervento legislativo per consentire il pagamento parziale e dilazionato anche di questi tributi, in attuazione del principio contenuto al punto 5) del comma 1, lettera a), dell’articolo 9 della legge 111/2023.
Per attuare questo intervento, tuttavia, non sarebbe stato probabilmente necessario uno slittamento dei tempi di attuazione della legge delega 111/2023, essendo sufficiente introdurre poche parole nel comma 2-bis dell’articolo 23 del Codice della crisi che già disciplina il trattamento dei crediti tributari erariali nella composizione negoziata. Un maggior termine è invece necessario per ampliare l’oggetto dell’intervento previsto dal principio direttivo contenuto al citato punto 5), introducendo, analogamente a quanto è già consentito per i tributi erariali, la possibilità di un pagamento parziale e dilazionato dei tributi locali e regionali, oltre che nella composizione negoziata e nell’amministrazione straordinaria, anche nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, nel concordato preventivo di qualsiasi tipo, nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e nel concordato attuato nella liquidazione giudiziale.
È del resto illogico che i tributi di cui sono titolari gli enti pubblici territoriali siano assoggettati a un trattamento diverso da quello stabilito per i crediti erariali e godano, come attualmente accade, persino di maggiori tutele di questi ultimi, nonostante siano assistiti da una causa di prelazione di grado inferiore. Allo stato, infatti, i tributi locali sono esclusi dalle varie forme di transazione fiscale disciplinate dal Codice della crisi, e possono essere ristrutturati – secondo quanto affermato da alcune sezioni regionali della Corte dei conti – solo in base alle norme generali che regolamentano i diversi istituti di risanamento disciplinati dal medesimo codice. Queste disposizioni sono tuttavia meno ampie di quelle applicabili in virtù della transazione fiscale (si pensi, in particolare, all’impossibilità di applicare in caso di diniego il cram down) e, inoltre, almeno secondo quanto affermato dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti con la deliberazione 256/2024/Par del 24 dicembre 2024, nessuna falcidia dei tributi locali e regionali è in alcun modo consentita nella composizione negoziata.

https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/la-fiscalita-crisi-impresa-si-allarga-tributi-locali-AHuyvkE?cmpid=nl_ntplusfisco

 

10 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com

Tari, rinvio al 30 giugno anche se il Pef è «solo» da aggiornare

Con un emendamento alla legge di conversione del Dl Pa è stato previsto il differimento al 30 giugno del termine di approvazione delle delibere Tari.
L’articolo 3, comma 5-quinquies, del Dl 228/2021, prevede che i Comuni approvino i piani finanziari del servizio di gestione dei rifiuti urbani, le tariffe e i regolamenti della Tari e della tariffa corrispettiva, entro il termine del 30 aprile di ciascun anno. Se il termine di approvazione del bilancio viene prorogato a data successiva al 30 aprile, anche il termine di approvazione delle tariffe segue la stessa sorte. Nel 2024, senza proroga dei bilanci, il termine per approvare gli atti Tari fu comunque prorogato prima al 30 giugno e poi al 20 luglio (articolo 15-ter, Dl 60/2024).
Anche per il 2025 si sta delineando lo stesso percorso, visto l’emendamento che sposta il termine al 30 giugno 2025, sebbene la certezza potrebbe aversi a termini già scaduti, visto che il Dl 25/2025 dovrà essere convertito entro il prossimo 14 maggio.
Comunque sia, si tratta di adempimento da attenzionare, perché la mancata approvazione delle delibere tariffarie determina la conferma tacita delle tariffe 2024, che potrebbero essere non sufficienti alla copertura dei costi emergenti dal Pef, con conseguente emersione di danno erariale.
Occorrerà poi ricordarsi di inviare le delibere tariffarie entro il 14 ottobre al Mef, perché senza la pubblicazione nei termini le delibere sono inefficaci. E sono già due anni che il legislatore salva diverse centinaia di Comuni sbadati, con l’approvazione di una sanatoria (l’ultima con il Dl 202/2024).
Per quanto riguarda la tariffa corrispettiva, il Dl 228/2021 è chiaro nell’attribuire la competenza all’approvazione delle tariffe e dei regolamenti al Comune, sicché delibere approvate dalle autorità d’ambito devono considerarsi illegittime, con conseguente applicazione delle ultime tariffe validamente approvate dal Comune, e ciò anche nell’ipotesi di leggi regionali antecedenti al Dl 228/2021. Si tratta di un campo minato sul quale non conviene giocare, visti gli enormi rischi che ricadono esclusivamente sul Comune.
Il Pef è stato approvato l’anno scorso, essendo biennale (2024-2025), ma anche a parità di costi le tariffe possono variare sensibilmente, in aumento o in diminuzione, al variare delle basi imponibili.
Non occorre, poi, sopravvalutare le poste che possono essere messe in detrazione del Pef (punto 1.4 della determina Arera n. 2/2020), con lo scopo di ridurre le tariffe. Il Comune può sì alleggerire il Pef con le entrate derivanti dall’attività di contrasto all’evasione, ma a due condizioni: che si tratti di accertamenti effettivamente riscossi; che siano già stati integralmente coperti i Pef degli anni precedenti. La prassi di indicare nel Pef importi presunti da recuperi ancora da fare è quindi da ritenere illegittima, e anche pericolosa per la tenuta del bilancio, perché comunque una volta inserite, quelle somme garantiscano la copertura del pagamento della fattura del gestore rifiuti, e se l’attività di recupero dell’evasione non ha prodotto i risultati sperati, le risorse per pagare il gestore rimangono a carico del bilancio comunale.
Infine, il nuovo bonus sociale (delibera Arera n. 133/2025) non influisce sulla determinazione delle tariffe, perché le componenti perequative sono una voce aggiuntiva al conto Tari da addebitare all’utente.

https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com/art/tari-rinvio-30-giugno-anche-se-pef-e-solo-aggiornare-AHZOrxE

 

14 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com

Il paradosso del bonus sulla Tari che gonfia la bolletta degli altri utenti

La richiesta di 6 euro a testa supera in molti Comuni i costi dell’agevolazione. Arera ha fissato con la delibera 133/2025 in sei euro a utenza la nuova componente perequativa Ur3, necessaria a garantire la copertura del bonus rifiuti.
Il bonus è destinato agli utenti domestici il cui nucleo familiare abbia un Isee non superiore a 9.530 euro, elevato a 20mila euro limitatamente ai nuclei familiari con almeno quattro figli a carico, e consiste in una riduzione del 25 per cento della Tari o della tariffa corrispettiva.
Per il primo anno di applicazione probabilmente non sarà operativo il sistema di interscambio che consentirà a regime di riconoscere in automatico il bonus.
Di conseguenza si immagina che, in attuazione dell’articolo 3 del Dpcm 21 gennaio 2025, n. 24, il bonus sarà anticipato dalla Cassa per i servizi energetici e ambientali nella misura pari al 25 per cento della spesa media nazionale per il servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani, e non, quindi con riferimento alla tariffa effettivamente applicata nei singoli Comuni.
L’istituzione della nuova componente perequativa è prevista dal Dpcm citato, ma desta non poche perplessità perché nei fatti si attua una sorta di solidarietà forzata a livello nazionale e non comunale.
L’effetto è che ci saranno numerosi Comuni in cui le entrate da componente perequativa saranno superiori al costo del bonus per quello stesso Comune. Le prime simulazioni in alcuni enti danno un rapporto di uno a sei, ovvero a fronte di 100 di bonus riconosciuti si chiedono 600 di componenti perequative. E il costo è più salato nei Comuni dove si applica la tariffa corrispettiva, in quanto occorre anche aggiungerci l’Iva.
D’altro canto, la delibera di Arera prevede che il Comune riversi alla Csea l’importo della componente perequativa al netto dell’ammontare delle agevolazioni riconosciute.
Forse sarebbe stato più equo prevedere un bonus applicato direttamente dai Comuni, con costo da inserire nel Piano economico finanziario la cui scadenza è stata appena rinviata al 30 giugno da un emendamento alla legge di conversione del decreto legge sulla Pa (Sole 24 Ore del 10 aprile). In questo modo il risultato finale sarebbe stato lo stesso, ma il costo sarebbe stato ripartito (con un leggero incremento delle tariffe) all’interno del singolo Comune o bacino tariffario, con ulteriori semplificazioni in termini di rendicontazione, oneri di contabilizzazione e così via.
A ciò si aggiunge l’applicazione retroattiva dal 1° gennaio 2025, dopo che il bonus è stato in gestazione per sei anni (è previsto dal Dl 124/2019), con l’obbligo imposto ai Comuni di inviare un nuovo bollettino di versamento nel caso in cui l’ente abbia già inviato l’avviso di pagamento per l’intero anno. Ovviamente con oneri amministrativi a carico di ciascun Comune.
Poi ci sono ulteriori elementi da chiarire, come l’applicazione della componente perequativa alle stesse utenze beneficiarie del bonus, che, in assenza di precisazione, sarebbe da applicare, con riduzione del bonus ancor più marcata nella tariffa corrispettiva, per la presenza dell’Iva.

https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/il-paradosso-bonus-tari-che-gonfia-bolletta-altri-utenti-AHuviYG?cmpid=nl_ntplusfisco

 

14 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com

Cgt Lazio: inesistenti le notifiche tramite Pec da indirizzi non ufficiali

La Corte esclude ogni effetto sanante e contraddice la linea della Cassazione. Le notifiche delle cartelle effettuate a mezzo Pec da un indirizzo non risultante dai pubblici registri sono inesistenti e non sanabili per raggiungimento dello scopo ex articolo 156 del Codice di procedura civile. Lo afferma la Cgt Lazio con la recente sentenza n. 1828/13/2025 (presidente e relatore Passero) che si pone in controtendenza rispetto al più recente indirizzo della Corte di Cassazione, secondo il quale tale notifica è viziata solo se il contribuente prova di avere subìto un pregiudizio sostanziale.
Il caso sottoposto all’esame dei giudici laziali traeva origine dall’impugnazione di una cartella che il contribuente lamentava di non avere mai ricevuto e di esserne venuto a conoscenza tramite l’estratto di ruolo. Tuttavia, l’ufficio documentava l’avvenuta notifica della cartella di pagamento e i giudici di primo grado dichiaravano il ricorso inammissibile in quanto tardivamente presentato. Il ricorrente presentava così appello, chiarendo che la questione verteva sulla legittimità della notifica a mezzo Pec.
I giudici hanno accolto l’appello, premettendo che l’appellante aveva provato che la cartella era stata notificata da un indirizzo diverso, all’epoca dei fatti, da quello risultante dal pubblico registro. In tal senso, i giudici hanno evidenziato che la notifica Pec si intende validamente effettuata soltanto se proviene da un indirizzo Pec incluso in un pubblico registro di cui all’articolo 16-ter del Dl 179/2012.
Non può invece reputarsi valida la notifica effettuata dall’Agente avvalendosi di indirizzi non ufficiali, poiché ciò non consente di stabilire con assoluta certezza la provenienza dell’atto impugnato, atta a comprovare l’affidabilità giuridica del contenuto dello stesso.
Nel caso esaminato, l’atto era stato notificato utilizzando un indirizzo non idoneo per una valida notifica, posto che il medesimo non risultava da un pubblico registro e, dunque, non poteva essere riferito all’Agente (così Cassazione 17346/2019).
In definitiva, i giudici hanno concluso che tali notifiche sono inesistenti ed è escluso ogni effetto sanante per raggiungimento dello scopo ex articolo 156 del Codice di procedura civile. Si evidenzia che la sentenza in commento si pone in controtendenza rispetto all’orientamento più recente della Corte di Cassazione in base al quale la notifica da un indirizzo Pec non presente in un pubblico registro non inficia di per sé la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui risulta provenire perché occorre che il contribuente provi quali pregiudizi sostanziali siano dipesi dalla ricezione della notifica da tale indirizzo (18684/2023 e 982/2023).
Il pregiudizio si potrebbe configurare qualora, ad esempio, il contribuente non abbia aperto la Pec, temendo si trattasse di malware e, di conseguenza, non ha impugnato la cartella nei termini previsti dalla legge.
Da notare che anche la Cgt di Milano si è discostata dall’orientamento della Corte Suprema (4405/17/2024) recepito invece dalla maggior parte dei giudici di merito. Occorrerà capire, tuttavia, se queste decisioni rimarranno dei casi isolati o rappresenteranno un cambiamento di rotta in grado di fare mutare idea anche alla Corte Suprema.

https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/cgt-lazio-inesistenti-notifiche-tramite-pec-indirizzi-non-ufficiali-AHON7b?cmpid=nl_ntplusfisco

 

14 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com

No alla rettifica catastale se non sono indicati gli immobili comparabili.

L’avviso non identifica le unità paragonate a quella accertata. L’avviso di accertamento catastale fondato sul cosiddetto metodo comparativo è illegittimo per difetto di motivazione se non identifica gli immobili comparati a quello accertato. La motivazione dell’avviso deve essere presente sin dalla emanazione dell’atto e non può essere integrata in sede giudiziale con riferimento ad altro criterio di accertamento. Questo il principio affermato dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia con la sentenza n. 80/2/2025 del 20 marzo scorso (presidente e relatore Montanari), con la quale i giudici hanno accolto il ricorso del contribuente ed annullato l’avviso impugnato per difetto di motivazione.

La vicenda

Con avviso di accertamento catastale, l’agenzia delle Entrate rettifica i dati di classamento e di rendita proposti dal contribuente con denuncia di variazione (modello Docfa). L’avviso motiva la rideterminazione della rendita catastale sulla base del cosiddetto metodo comparativo, richiamando i valori di costo attribuiti a fabbricati similari a quelli accertati, senza però indicarli. Il contribuente propone ricorso eccependo, tra l’altro, il difetto di motivazione dell’accertamento, in quanto l’Agenzia ha applicato il metodo comparativo senza indicare quali fossero gli immobili considerati “similari” a quelli accertati ed utilizzati come termine di paragone. Nel costituirsi in giudizio, l’Agenzia integra la motivazione dell’avviso sostenendo che la rendita è stata rideterminata in ragione del valore di ricostruzione degli immobili accertati.

La sentenza

La Cgt accoglie il ricorso ed annulla l’avviso impugnato per difetto di motivazione. In primo luogo, la Corte accerta la carenza di motivazione dell’atto impugnato dal momento che l’Agenzia non indica gli immobili che, comparati a quelli accertati, ne avrebbero giustificato la maggiore rendita contestata. In assenza di tale indicazione, l’avviso di accertamento è illegittimo per violazione dell’articolo 7, legge 212/2000. Inoltre, la Corte censura il tentativo dell’Agenzia di integrare in giudizio la motivazione dell’avviso attraverso il richiamo al diverso criterio di accertamento rappresentato dal metodo di valorizzazione della rendita fondato sul costo di ricostruzione degli immobili accertati. I giudici hanno così applicato il principio di diritto, pacifico in giurisprudenza, secondo cui la motivazione di un atto amministrativo, quale condizione di legittimità dello stesso, deve sussistere sin dall’emanazione dell’atto, restando invece inammissibile un’integrazione postuma della motivazione in sede giudiziale.

https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/no-rettifica-catastale-se-non-sono-indicati-immobili-comparabili-AHvCVd?cmpid=nl_ntplusfisco

 

14 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com

Imu, agevolazione per chi presenta al Comune la pratica di ristrutturazione per inagibilità

Secondo un consolidato orientamento della Cassazione, anche in assenza di dichiarazione è possibile conoscere lo stato di inagibilità dell’immobile. Il contribuente che presenta la documentazione in Comune per la ristrutturazione di un immobile inagibile beneficia dell’agevolazione Imu la Cassazione con l’ordinanza n. 6532/2025, ha accolto le motivazioni di una società nei confronti del Comune accertatore.  Alla base del contenzioso c’è il fatto che la società ricorrente non aveva (formalmente) dichiarato lo stato di inagibilità dell’immobile oggetto dell’imposta; tuttavia la stessa sostiene che lo stato di inagibilità (al fine del beneficio fiscale per gli immobili inagibili) era noto al Comune, in quanto erano state a questo presentate le pratiche per la ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso (anche con allegazione di fotografie che evidenziavano lo stato dell’immobile negli anni interessati, privo di copertura). Va ricordato che l’imposta in materia di Imu è ridotta del 50 per cento per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni. L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa il contribuente ha facoltà di presentare dichiarazione sostitutiva rispetto a quanto previsto dal periodo precedente. Per i giudici di legittimità a prescindere dalla formale dichiarazione, il Comune ben può conoscere lo stato di inagibilità per altri atti formalmente noti; secondo un consolidato orientamento della Cassazione «In tema di IMU e nell’ipotesi di immobile inagibile, l’imposta va ridotta, ai sensi dell’art. 13, comma 3, del Dl n. 201 del 2011 (convertito con modifiche dalla legge n. 214 del 2011), nella misura del 50 per cento anche in assenza di richiesta del contribuente quando lo stato di inagibilità è perfettamente noto al Comune, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente di cui è espressione anche la regola secondo cui a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune».
Per la Cassazione la formale dichiarazione, seppure richiesta dal regolamento, non era nel caso in esame necessaria; né la conoscenza da altri fattori della inagibilità, in capo al Comune, presupponeva la presenza di atti necessariamente ’provenienti’ da questo, quanto il possesso da parte dell’Amministrazione di atti di parte (cioè della società) comprovanti i lavori che rendevano inagibile l’immobile nella annualità di riferimento.

https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com/art/imu-agevolazione-chi-presenta-comune-pratica-ristrutturazione-inagibilita-AGq06suD?cmpid=nl_ntediliziapa

 

15 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com

IMU dovuta da ente non commerciale per attività didattica. Corrispettivo simbolico e disapplicazione sanzioni

Nell’ordinanza della Cassazione n. 7988 del 26/03/2025, la Suprema Corte affronta ancora una volta la questione del corrispettivo simbolico per applicare l’esenzione IMU a favore di un ente non commerciale. In particolare, la Cassazione evidenzia come non sia condivisibile quanto indicato dal ministero nelle istruzioni alla dichiarazione IMU prevista per gli enti non commerciali, nella parte in cui assume riferimento come parametro il costo medio delle scuole paritarie. Dopo aver negato il diritto all’esenzione, la Cassazione apre alla possibilità di disapplicazione delle sanzioni per il principio di tutela dell’affidamento, tenuto conto che le indicazioni si trovavano contenute proprio nelle istruzioni alla dichiarazione IMU.
Tra gli aspetti da segnalare.
L’onere motivazionale in capo al comune non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle specifiche ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di esenzioni poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (vedi anche Cass., 140941/2010 nonché Cass. n. 23386/2021) (…)  Risulta, quindi, chiaro che detto onere di motivazione non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle specifiche ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di esenzioni poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (vedi anche Cass., 140941/2010 nonché Cass. n. 23386/2021).
Il contribuente ritiene non dovute sanzioni e interessi in ragione dell’affidamento sulle indicazioni fornite dalla stessa amministrazione finanziaria nelle Istruzioni mod. IMU/TASI ENC (Enti non commerciali). La Cassazione ribadisce che, secondo un consolidato principio di diritto, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, «l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributariaovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.
In merito alla possibilità di disapplicare le sanzioni l’essenza del fenomeno «si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente:

1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge;

2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;

3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;

4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà;

5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti;

6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali;

7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale;

8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;

9) nel contrasto tra opinioni dottrinali;

10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente» (v. Cass. 12301/2017; Cass. n. 15452/2018Cass., 12 aprile n. 10313/2019)

È innegabile che in tale quadro erano ravvisabili una pluralità di disposizioni il cui coordinamento appariva concettualmente difficoltoso, per l’equivocità del loro contenuto tale da creare una situazione di incertezza normativa oggettiva.
In merito al corrispettivo simbolico, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 7, lett. i), d.lgs. n. 504 del 1992, per l’attività didattica, in base ai criteri dettati dalla decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, deve intendersi quello caratterizzato da un irrisorio, marginale, del tutto residuale ammontare, in termini tali da non potersi porre in relazione con il servizio reso, così presentandosi come corrispettivo di natura meramente formale, tale da rendere la prestazione più prossima ad una erogazione gratuita, che a quella sotto-remunerata rispetto agli standard medi (così Cass. n. 27821/2023 nonché Cass. 3674/2024). Si è, anche, evidenziato che deve escludersi l’equivalenza del concetto di corrispettivo simbolico con quello di corrispettivo inferiore rispetto alla media dei prezzi praticati nella zona, atteso che il corrispettivo puramente simbolico non è quello tenue o modesto, ma quello che escludendo completamente il rapporto sinallagmatico equivale alla sua assenza (cfr. Cass. n. 17902/2024 che richiama Cass. n. 8967/2020Cass. n. 4066/2019Cass. n. 37340/2021).
Quanto al d.m. 26 giugno 2014, contenente le istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni IMU e TASI, la Corte ha chiarito che le istruzioni ministeriali non possono vincolare l’interpretazione del dato normativo, sicché la valutazione della natura non commerciale dell’attività didattica non può esaurirsi nell’applicazione meccanica del parametro, consistente nel rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS), previsto da tali istruzioni (…) In definitiva, il d.m. 16 giugno 2014 introduce un parametro che si pone in contrasto con la norma gerarchicamente superiore, contenuta nel d.m. 200 del 2012, richiamata dalla legge n. 1 del 2012, limitandosi ad una valutazione astratta, che, peraltro, pone a confronto entità non omogenee e, cioè, il corrispettivo effettivamente praticato in un dato contesto temporale e territoriale ed il costo medio del servizio per studente, calcolato dal Ministero, in base a dati raccolti su tutto il territorio nazionale, in cui esistono disparità, anche rilevanti, di costi. Fermo restando quanto precisato circa la non debenza della sanzioni , non assume, quindi, rilievo la rispondenza della retta scolastica ai limiti fissati in materia di “costo medio per studente” per l’anno di riferimento secondo la tabella redatta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sulla base delle istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione a fini dell’IMU per gli enti non commerciali in allegato al d.m. 26 giugno 2014, non ponendosi detti criteri in armonia con quanto stabilito dalla decisione adottata dalla Commissione Europea il 19 dicembre 2012 e del d.m. 200/2012 (v., in motiv., sul punto, Cass. m. 17704/2024).

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43476123

 

15 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com

IMU beni merce. L’obbligo dichiarativo non ammette altri equivalenti. L’interessante sentenza (Cassazione n. 8357/2025) riguarda immobili merce dati in locazione periodica. Lo stato di locazione va indicata in denuncia da presentare relativamente a ciascuna annualità per le quali si chiede l’applicazione dell’esenzione in discussione, trattandosi di fatti potenzialmente variabili da periodo a periodo. La Corte richiama l’ordinanza n. 5191/2022 per confermare che l’ art. 1, comma 769 della L. n. 160 del 2019 non ha abrogato l’art. 2, comma 5-bis del D.L. n. 102 del 2013, al che consegue che l’esonero dall’IMU per i fabbricati-merce presuppone la presentazione della dichiarazione. La disposizione normativa sopra richiamata evidenzia chiaramente che la presentazione della dichiarazione è condizione necessaria per l’ottenimento del beneficio fiscale, obbligo previsto a pena di decadenza, che non può essere sostituito dalla circostanza che il Comune sia a conoscenza dei fatti che comportano l’esenzione dall’imposta.
Sulla scorta del consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione e non sono suscettibili di interpretazione analogica o estensiva (cfr. Cass. nn. 12852/2021, 32635/2019695/2015, 12495/2014; conf. Cass. nn. 1547/2017 in motiv, n. 4333/2016 in motiv.), la specifica indicazione normativa, che subordina il riconoscimento dell’esenzione alla presentazione della dichiarazione, impedisce quindi di considerare equivalente qualsiasi altro adempimento e altresì di ritenere superflua la dichiarazione, pur se il Comune, quale ente che rilascia il permesso di costruire, sia a conoscenza sin dall’origine dell’edificazione dei fabbricati. Nel caso di specie, le condizioni per l’esonero IMU, rappresentate, per un verso, dalla destinazione alla vendita delle unità in questione, e, per altro verso, dallo stato di non locazione degli stessi, devono essere, dunque, oggetto di specifica indicazione nella denuncia IMU, da presentare relativamente a ciascuna annualità per le quali si chiede l’applicazione dell’esenzione in discussione, trattandosi di fatti potenzialmente variabili da periodo a periodo, e che vanno dunque portati a conoscenza dell’Ente impositore circa la loro permanenza.

 https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43476125

 

15 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com

 IFEL bonus sociale rifiuti. Le osservazioni di ANCI/IFEL alla delibera Arera n.133/2025

Con apposito documento, l’IFEL ha trasmesso le proprie osservazioni sui contenuti della deliberazione ARERA 133/2025 con la quale è stata istituita la componente perequativa UR3.
Tra gli aspetti sollevati:
Sotto il profilo regolamentare, appare assolutamente necessario un coordinamento con la facoltà che hanno i Comuni di stabilire agevolazioni di cui al comma 660, art. 1, della legge 147/2013 (normativa TARI): tale norma consente di prevedere agevolazioni di natura sociale, anche in base all’ISEE, finanziate con fondi di bilancio comunale.
Molti Comuni, ad oggi, prevedono già riduzioni, anche in misura superiore al 25%, che in alcuni casi arrivano anche all’esenzione. Si rileva quindi la necessità di incrociare le agevolazioni esistenti con il nuovo bonus, valutando anche le diversità applicative, in quanto il bonus dovrebbe applicarsi in automatico, mentre le agevolazioni comma 660 sono subordinate a istanza del contribuente da presentare alle scadenze fissate dal regolamento. Inoltre, alcuni Comuni prevedono il recupero dell’agevolazione riconosciuta qualora il contribuente non versi la differenza restante di TARI entro un termine fissato con regolamento. Le nuove regole, pertanto, incidendo sulle scelte regolamentari locali, potrebbero comportare modifiche, il cui termine è attualmente fissato al 30 aprile 2025.
C’è poi un’ulteriore preoccupazione legata all’entità di questa nuova componente, ben più elevata delle precedenti, che secondo gli orientamenti dell’Autorità sarebbe posta tutta in carico ai Comuni, anche in caso di mancato pagamento da parte degli utenti del servizio, con conseguente obbligo dei Comuni stessi a sopperire con proprie risorse di bilancio.
Va infine considerato che l’automatismo di concessione del bonus è più complesso di quello che emerge dal DPCM e dalla delibera in esame: per l’automatica applicazione, gli uffici tributi di ogni Comune dovranno disporre delle informazioni connesse con la situazione ISEE (inviata dal sistema SGAte gestito da Anci) di tutte le utenze registrate nella TARI e nella tariffa corrispettiva ed i software gestionali, all’atto di elaborazione degli avvisi di pagamento dovranno essere in grado di sottrarre la quota di riduzione prevista.
Lo sviluppo dell’integrazione di SGAte da parte di ANCI, finalizzato alla trasmissione dei dati dei potenziali beneficiari dal SII ai Comuni e dei flussi delle agevolazioni e delle componenti perequative dai Comuni a CSEA, presumibilmente non sarà pronto prima del mese di dicembre 2025, sempre che le verifiche con il Garante Privacy si concludano in tempi brevi e si possa al più presto procedere alla sottoscrizione degli Atti integrativi necessari.
IFEL propone un rinvio dell’applicazione anche per la necessità di ottenere tutte le informazioni sui soggetti interessati al bonus, per evitare macchinose operazioni di ricalcolo e conguaglio: si ritiene pertanto necessario che l’Autorità decida di rinviare l’applicazione del bonus al 2026 definendo le regole nei prossimi mesi e consentendo l’adeguamento entro la fine di quest’anno degli uffici dei Comuni e dei gestori.
Infine, IFEL ribadisce l’assoluta contrarietà all’applicazione delle quote perequative in ragione della TARI fatturata, anziché della TARI effettivamente riscossa. Tale orientamento produce una grave perdita di fiducia nel sistema regolatorio da parte dei Comuni, che risulterebbero gravati da un onere patrimoniale imposto al di fuori di qualsiasi normativa primaria di riferimento. Come osservato nei paragrafi precedenti, la natura del servizio di igiene urbana, per effetto del suo elevato grado di indivisibilità, non consente quegli elementi di deterrenza (il distacco dell’utenza) che potrebbero giustificare l’applicazione prospettata da CSEA e da ARERA. Anche sotto il profilo fattuale, la sussistenza di ampie aree di mancate riscossioni in particolare nel centro-sud determinerebbe un’esposizione di un certo rilievo proprio per gli enti a maggior rischio di tensione finanziaria

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43476091

 

15 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com  

TARI, parcheggi dei supermercati: prevalenza del regolamento comunale

L’ordinanza 8599/2025 rigetta il ricorso del Comune sul preteso pagamento della tassa rifiuti sulle aree destinate a parcheggio di supermercato (ritenendole operative) confermando la decisione di secondo grado che aveva ritenuto tali aree non produttive di rifiuti urbani in base a quanto stabilito dal regolamento comunale (il quale prevedeva che fossero esentate le aree pertinenziali adibite alla sosta, tra le quali rientrava il parcheggio pertinenziale al supermercato della contribuente, come da dichiarazione). I giudici hanno evidenziato che il Comune, avvalendosi dei margini di legge per la previsione di esenzioni, ha stabilito nel proprio regolamento che siano esentate le aree pertinenziali adibite alla sosta. Questa è certamente la situazione del parcheggio pertinenziale al supermercato del contribuente come da dichiarazione del 1997. Non si può ritenere che sia necessario comprovare l’inutilizzabilità dell’area o l’assenza di presenze umane al fine di escludere la produzione di rifiuti, tanto più che tali elementi non sono richiesti nel regolamento stesso. La decisione evidenzia l’importanza dei contenuti dei regolamenti comunali che, spesso, definiscono le aree escluse in quanto non produttive di rifiuti speciali.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43476129

 

15 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com

Le farmacie non esercitano esclusivamente un pubblico servizio. I mezzi pubblicitari sono soggetti al CUP

Le ricorrenti, esercenti l’attività di farmacia nel territorio del Comune di Olbia, hanno impugnato il “Nuovo Piano Generale degli Impianti Pubblicitari per la Disciplina dell’Installazione dei Mezzi Pubblicitari – Norme Tecniche di Attuazione”, adottato con delibera del Consiglio comunale del Comune di Olbia n. 127 del 29.11.2023, nelle parti in cui  ha considerato mezzi di diffusione di messaggi pubblicitari, le insegne frontali e le insegne a bandiera/croci verdi indicatrici delle farmacie, dato che si tratterebbe di insegne di esercizio funzionali all’individuazione dei servizi di pubblica utilità (che svolgono anche un servizio di guardia farmaceutica) e che anche il precedente Piano comunale generale degli impianti pubblicitari espressamente sottraeva all’applicazione del canone. (TAR SARDEGNA – CAGLIARI 73/2025) .
Le ricorrenti hanno contestato, essenzialmente, le norme del Piano generale degli impianti pubblicitari nella parte in cui includendo le insegne delle farmacie tra le c.d. “insegne pubblicitarie” e prevedendo fra le altre cose che “[…] sarà consentito installare una sola croce, delle dimensioni massime cm.120x120h., a bandiera su parete” (art. 9) hanno determinato l’applicabilità del canone unico patrimoniale nei loro confronti.
Il collegio osserva che la tesi secondo cui le farmacie eserciterebbero esclusivamente un pubblico servizio (con conseguente sottrazione al pagamento del canone unico) non possa essere condivisa. Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa ha già osservato che fin dall’approvazione dell’art. 9 della legge n. 475/1968 si può desumere il favor del legislatore per l’apertura al mercato del servizio farmaceutico. Tale norma, come è noto, ha inteso contemperare l’interesse pubblico alla gestione diretta del servizio farmaceutico con il principio della libertà del mercato, non compatibile con posizioni dominanti o esclusive della Pubblica Amministrazione a danno dei privati.
Se, per le ragioni esposte, può essere delineata una “offerta farmaceutica” su un mercato che il legislatore ha chiaramente voluto aprire alla libera concorrenza, allora ne consegue che l’insegna delle farmacie non ha soltanto la funzione indispensabile di permettere la loro individuazione sul territorio, ma anche quella di consentire alle medesime di distinguersi sul mercato di riferimento, veicolando il proprio nome, la propria offerta commerciale e il proprio messaggio pubblicitario.
Ciò vale anche per la c.d. “cassetta bifacciale” che, mediante l’indicazione dei turni e degli orari di lavoro, consente al consumatore di apprendere dove e quando un determinato acquisto potrà essere eseguito.
In questo quadro, il Collegio ritiene che non si possano muovere fondate censure all’agere del Comune di ____ con riferimento alla inclusione delle insegne delle farmacie (e delle cassette bifacciali) nell’ambito delle insegne di esercizio, con la loro conseguente sottoposizione al canone unico patrimoniale. Sul punto, non può deporre in senso contrario il rilievo per il quale le insegne e le cassette sarebbero obbligatorie per legge.
Invero, lo stesso legislatore statale ha disciplinato tale ipotesi stabilendo, nell’ambito della disciplina statale del canone unico patrimoniale, che tali mezzi siano esenti dalla sua applicazione, se la loro esposizione è obbligatoria per norma di legge o di regolamento, sempre che siano “di superficie non superiore ad un metro quadrato, se non sia stabilito altrimenti” (v. articolo 1, comma 833, lett. B della L. 27 dicembre 2019 n. 160).
Il Comune  ha previsto la sottoposizione al canone delle insegne di esercizio delle farmacie, seppure obbligatorie per legge, qualora eccedano la più ampia misura massima di 120 cm x 120 cm. Allo stesso modo, la disciplina statale prevede l’applicabilità del canone anche alle insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, qualora le stesse eccedano la superficie complessiva di 5 metri quadrati (v. art. 1 comma 833, lett. L della medesima L. 27 dicembre 2019 n. 160), ed è al superamento di tale limite dimensionale che il Comune  ha subordinato la richiesta di pagamento del canone.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43476133

 

17 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com

L’Imu si paga anche per la sola possibilità di avvalersi dell’immobile

Per la sentenza 49/2025 della Consulta gli immobili di un’impresa destinati alla vendita e non locati costituiscono un valido indice di capacità contributiva.
L’Imu si paga anche per la sola possibilità di avvalersi dell’immobile. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 49, depositata il 17 aprile, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, numero 214, sollevate, in riferimento agli articoli 53 della Costituzione.
Secondo la Consulta anche gli immobili di un’impresa destinati alla vendita e non locati costituiscono un valido indice di capacità contributiva perché quel che rileva ai fini dell’obbligo del pagamento dell’Imu è l’astratta possibilità di avvalersi delle facoltà proprie del diritto reale e non il loro effettivo esercizio, che dipende solo dal possessore. L’imprenditore può difatti decidere autonomamente e liberamente la destinazione di tali beni e mantenerne il possesso entro la sua sfera di controllo. La Corte ha anche chiarito che l’Imu è un’imposta sul patrimonio immobiliare, che ha come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale, e che un immobile non costituisce un valido indice di capacità contributiva solo se è inutilizzabile nonostante uno sforzo diligente per tornarne in possesso, come è stato deciso nella sentenza numero 60 del 2024, che ha infatti dichiarato incostituzionale la disciplina dell’Imu nella parte in cui non prevede che non siano soggetti a tale imposta gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria.
Spetta al legislatore, con la sua discrezionalità e nei limiti della non palese irragionevolezza, decidere su an, quantum, modalità e condizione riguardante la determinazione di agevolazioni e benefici fiscali, secondo un criterio che concili, nel corso degli anni, le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva.

https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/l-imu-si-paga-anche-la-sola-possibilita-avvalersi-dell-immobile-AHnRPON?cmpid=nl_ntplusfisco

 

18 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com

Imu, esonero circoscritto per gli immobili delle imprese in crisi

 La Cgt Roma: l’agevolazione è limitata ai soggetti in liquidazione giudiziale (ex fallimento) e in liquidazione coatta amministrativa.
Solo le imprese sottoposte a fallimento, oggi liquidazione giudiziale, e quelle in liquidazione coatta amministrativa possono usufruire dell’esonero dal versamento dell’Imu fino a quando non sia intervenuto il decreto di trasferimento degli immobili. Per converso gli immobili di tutte le altre procedure concorsuali non possono beneficiare della stessa agevolazione Imu. È quanto affermato dalla sentenza 2746/18/2025 della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma.
Il caso analizzato dai giudici tributari riguarda un consorzio agrario che era stato ammesso, dal marzo 2023, alla diversa procedura del concordato preventivo e l’accordo era stato omologato dal giudice; in particolare il consorzio contestava l’avviso di accertamento Imu emesso da un Comune, per l’anno di imposta 2018, relativo ad un immobile che faceva parte della procedura.

La normativa di riferimento
In base all’articolo 10, comma 6, del Dlgs 504/1992, il curatore del fallimento, così come il commissario della liquidazione coatta amministrativa, è tenuto al versamento dell’Imu «dovuta per il periodo di durata dell’intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili»; tale norma è ribadita dall’articolo 1, comma 768, legge 160/2019 (legge di Bilancio 2020).
Va precisato che, con specifico riferimento all’impiego del termine «fallimento», il Dlgs 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ha complessivamente riformato le procedure concorsuali di cui al Rd 267/1942 (legge fallimentare) e ha introdotto nel nostro ordinamento la procedura di liquidazione giudiziale in sostituzione dell’attuale procedura fallimentare. Anche da un punto di vista lessicale, la riforma ha quindi sostituto il termine «fallimento» (ed i suoi derivati) con l’espressione «liquidazione giudiziale».

Respinto il ricorso del consorzio
Osservano i giudici tributari di primo grado che l’agevolazione Imu nei fallimenti è di stretta interpretazione e, pertanto, va applicata solo con riferimento alle specifiche procedure concorsuali disposte dalla norma. Secondo un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di Imu, la procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in crisi, disciplinata dal Dlgs 270 del 1999, non beneficia del regime agevolativo di cui all’articolo 10, comma 6, del Dlgs 504/1999, riferito esclusivamente agli immobili compresi nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di deroga al regime impositivo generale da ritenersi insuscettibile di interpretazione analogica (cfr. Cassazione ordinanza 19681/2023).
Nel caso in esame il consorzio ricorrente risulta essere in concordato, cioè una procedura che non ricade nel presupposto normativo: per tale motivo, pertanto, il ricorso del consorzio agrario è rigettato e l’Imu è dovuta al Comune.

https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/imu-esonero-circoscritto-gli-immobili-imprese-crisi-AHWVaFN?cmpid=nl_ntplusfisco

22 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com

 

Abitazione principale IMU. Onere della prova spetta al contribuente

Pubblichiamo l’ordinanza 9799/2025 per segnalare la decisione della suprema Corte sulla spettanza dell’onere della prova relativa alla dimora abituale.
Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento con il quale il Comune ha preteso l’I.M.U. per l’anno 2012, disconoscendo il diritto alla invocata esenzione per l’abitazione principale, sul rilievo che, mentre il ricorrente aveva la residenza anagrafica e la dimora abituale nel Comune di Leporano, la moglie e la figlia risiedevano in altro Comune.
La Corte osserva che non sempre si tratta qui di una c.d. seconda casa – poiché in quest’ultima ipotesi non spetterebbe l’esenzione – ma di residenze diverse il che, come rimarcato dalla Consulta, costituisce un diritto dei due coniugi, in virtù degli accordi sull’indirizzo della vita familiare liberamente assunti ai sensi dell’art 144 c.c.; non può, infatti, essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 c.c. , dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro di stabilire residenze disgiunte (Cass. Sez. 5, 19.1.2023, n. 1623) e a tale possibilità non si oppongono le norme sulla “residenza familiare” dei coniugi (art. 144 cod. civ.) “comune” degli uniti civilmente (art. 1, comma 12, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
La logica dell’esenzione dall’IMU è quella di riferire il beneficio fiscale all’abitazione in cui il possessore dell’immobile ha stabilito la residenza e la dimora abituale, e dovrebbe risultare irrilevante, al realizzarsi di quella duplice condizione, il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di una unione civile, convivente o singolo.
Pertanto, in accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, per una verifica in ordine alla sussistenza dei requisiti di legge per beneficiare dell’esenzione, il cui onere probatorio incombe sulla parte contribuente.

 https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43506171

 

22 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com

Conferma delle disposizioni urgenti in materia di perequazione nel settore dei rifiuti urbani

Con propria deliberazione 176/2025, l’ARERA conferma le disposizioni urgenti per l’attuazione del riconoscimento del “bonus sociale rifiuti” agli utenti domestici del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in condizioni economico sociali disagiate in attuazione dell’articolo 57-bis del decreto-legge 124/19 e del d.P.C.M. 21 gennaio 2025 n. 24 e in particolare l’articolo 2 “Modifiche urgenti ai meccanismi di perequazione nel settore dei rifiuti urbani” e il comma 3.1 della deliberazione 133/2025/R/rif.
Ne consegue che dall’anno 2025 trova applicazione la nuova componente perequativa UR3, dell’importo di 6 euro ad utenza, che gli enti dovranno dichiarare a gennaio 2026 e riversare a marzo 2026. Al momento l’applicazione è indifferenziata verso utenze domestiche e non domestiche.

 https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43506137          

 

22 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com

Comunicato ANCI – TARI, proroga al 30 giugno 2025 per l’approvazione delle tariffe

Le commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro della Camera dei Deputati hanno approvato l’emendamento finalizzato al rinvio dell’approvazione delle tariffe e regolamenti Tari al 30 giugno 2025.
All’art. 10-bis del testo di conversione del D.L. Pubblica Amministrazione si legge: “Per l’anno 2025 il termine del 30 aprile previsto dall’articolo 3, comma 5-quinquies, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15, è differito al 30 giugno 2025. Restano fermi i termini di pagamento delle rate già stabiliti con regolamento comunale”.
La notizia permette di avere una certezza sulla proroga al 30 giugno, consentendo agli enti di guadagnare ancora tempo per l’approvazione dell’impianto tariffario TARI/tarip.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43506139

 

18 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com

 In scadenza il canone per i servizi di rete e il canone per antenne e ripetitori

A fine aprile scadrà il termine per versare il Canone per i servizi di rete per l’anno 2025, nonché il canone previsto per le antenne e ripetitori. Comuni e Province riceveranno, tramite il canale di PagoPA, i pagamenti delle aziende che erogano i servizi pubblici e quelli delle società che prestato attività strumentale all’erogazione.
Tra i versamenti attesi assumono particolare rilevanza quelli relativi i 5 principali servizi distribuiti nelle abitazioni e nelle aziende del proprio territorio, che per numero di utenze attive rappresentano la parte rilevante del gettito complessivo. Parliamo infatti di circa 37,2 milioni di utenze attive per l’energia elettrica, di circa 20,5 milioni di utenze domestiche di Gas, di oltre 30 milioni di utenze per Acqua potabile e Fognatura, infine di 20 milioni di utenze telefoniche di rete fissa, con collegamenti voce e internet distribuiti con la rete tradizionale e con la rete digitale caratterizzata dalla posa di fibra ottica.
Per queste utenze, distribuite nei quasi 8.000 Comuni italiani e nelle 110 Province, il gettito atteso per l’anno 2025 supera complessivamente i 250 milioni di Euro.
È bene ricordare come il Legislatore, nel disciplinare il criterio di autoliquidazione del canone previsto al comma 831 della L.160/2019, lo aveva collegato direttamente al numero delle utenze attive, fissando una misura fissa di tariffa, immodificabile da parte degli enti locali e soggetta solo ad adeguamento annuale automatico all’indice ISTAT. Di fatto quanto previsto dal comma 831 e dal successivo comma 831-bis, viene disposto in deroga alla potestà e autonomia riconosciuta agli enti locali in materia di proprie entrate, che di conseguenza non potranno in alcun modo adottare qualsiasi diversa quantificazione per queste speciali occupazioni.
Un sistema di calcolo e di disciplina che ha portato le diverse aziende coinvolte nella distribuzione dei servizi di pubblica utilità, ad interpretare la norma, dichiarare le utenze e liquidare il canone, in totale autonomia.
Nei primi anni di gestione abbiamo potuto constatare come, in diverse circostanze, la norma è stata interpretata in modo diverso dalle varie società, che, a seconda della convenienza, hanno applicato il criterio di calcolo fissato nella norma di interpretazione autentica piuttosto che quello previsto in caso di soggettività passiva in via mediata.
Il risultato è stato un ammanco importante di gettito atteso da parte degli enti, in particolare nel settore della telefonia, per il quale, nei primi quattro anni già trascorsi, non è stato riscosso gran parte del gettito atteso.
Il prossimo 30 aprile come detto saremo al quinto appuntamento con questa scadenza e ora, più che mai, è necessario da parte delle Pubbliche Amministrazioni organizzare una verifica puntuale sulla correttezza dei pagamenti ricevuti, per scongiurare tra l’altro il rischio di perdere il diritto a recuperare quelle somme eventualmente non versate o versate parzialmente.
Quante volte in questi anni abbiamo riscontrato diverse interpretazioni sull’ambito di applicazione della soggettività passiva in via mediata? Quante aziende a capitale pubblico hanno interpretato la norma ritenendosi esenti dal pagamento? Quanti operatori hanno fatto leva su convenzioni nelle quali venivano garantite ipotetiche esclusioni dal prelievo? Al quinto anno di gestione CUP diventa vitale, in un contesto caratterizzato ancora da grande incertezza, procedere al più presto con l’attività di controllo definendo la giusta misura del gettito atteso nelle casse dell’Ente.

In questo senso, per gli uffici sarà fondamentale procedere a delle verifiche.
Vediamo quali:

  1. Per le aziende che distribuiscono i servizi di Energia Elettrica e Gas, i due settori dove per Legge è prevista una netta separazione tra l’attività di distribuzione e quella di vendita, è necessario verificare che vengano versati i canoni sulla base della somma delle utenze delle diverse aziende che operano sul mercato. In questi casi, e solo in questi, il pagamento del canone deve pertanto avvenire a cura della società titolare della rete (che non può avere utenti finali), calcolando il dovuto sulla base dei clienti delle aziende che distribuiscono il servizio.
  2. Per quanto riguarda i settori riconducibili al Ciclo Idrico, ossia quello dell’erogazione dell’acqua potabile e della fognatura, si deve accertare che l’azienda versi il canone a favore degli enti serviti, ancorché soci della stessa società; molto spesso infatti le aziende che erogano il servizio idrico sono organizzate in società a capitale pubblico o a capitale misto dove gli stessi enti serviti sono titolari di quote di capitale sociale. Questi settori sono caratterizzati poi dalla proprietà della rete che per Legge deve essere sempre pubblica, questo di fatto esclude anche la possibilità di riconoscere l’esenzione prevista alla lettera D del comma 833 della L.160/2019, ipotesi prevista solo quando la società che gestisce il servizio pubblico ne devolve gratuitamente al comune la proprietà. Ipotesi di fatto non attuabile nel settore idrico. Allo stesso modo non sarà possibile invocare l’esenzione per requisiti soggettivi non rispondendo a quanto richiesto dalla lettera A del comma 833. Infatti, come recentemente ricordato dalla Corte dei Conti in una sentenza sul tema delle esenzioni dal Canone Unico, le norme di agevolazione o di esenzione da una debenza tributaria o patrimoniale non consentono mai una loro interpretazione analogica ed estensiva.
  3. Per il settore delle Telecomunicazioni, si deve verificare il pagamento a carico di ciascuno dei competitor che condividono, anche senza una materiale occupazione, la rete telefonica. In questi anni si è potuto verificare come, da una parte, TIM ha versato il canone solo per le proprie utenze attive, interpretando la norma seguendo il criterio della soggettività passiva in via mediata , considerando così ciascuna compagnia responsabile del pagamento per le sole proprie utenze attive, dall’altra, i diversi competitor presenti sul mercato, che interpretano la norma ritenendosi estranei al pagamento. Estraneità che deriva o perché ritengono applicabile il criterio stabilito nella norma di interpretazione autentica, oppure perché ritengono di non avere un’occupazione materiale e quindi escluse dal presupposto anche secondo il criterio della soggettività passiva in via mediata. Posizioni chiaramente non condivisibili respinte anche da recente giurisprudenza che ritiene applicabile il canone anche per le corporate che utilizzano la rete senza una materiale occupazione del suolo pubblico, ma sfruttando le moderne tecnologie con collegamenti virtuali (come la VULA)  utili a raggiungere con i propri servizi gli utenti finali.
  4. Infine, per l’ambito delle aziende che svolgono attività strumentali all’erogazione dei servizi pubblici, quali la trasmissione dell’energia elettrica, del gas, della fibra ottica, si verifichi quali e quante di queste operano nel proprio territorio con impianti direttamente funzionali all’erogazione dei servizi di pubblica utilità.

Attendiamo quindi il 30 aprile prossimo per valutare l’entità dei versamenti ricevuti dalle diverse aziende e poter capire, rispetto al gettito atteso, quanto è stato effettivamente versato e quanto invece necessità di un attività di recupero per i Comuni e le Province del nostro Paese.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43495241

 

22 aprile 2025 | Fonte: https:// ntplusfisco.ilsole24ore.com/

L’esenzione Imu per il costruttore con vincoli molto stretti

Niente agevolazione nel caso di locazione, anche solo temporanea del bene, né nell’ipotesi di unità acquistata per essere ristrutturata e poi venduta.
L’esenzione Imu per i fabbricati dell’impresa costruttrice destinati alla vendita non spetta né in caso di locazione, anche solo temporanea del bene, né nell’ipotesi di unità acquistata per essere ristrutturata e poi venduta. Questi i principi di diritto stabiliti per la prima volta dalla Cassazione sull’esenzione in esame nelle ordinanze 10392 e 10394 depositate martedì 22 aprile.
In proposito, si ricorda che la norma di riferimento è oggi contenuta nell’articolo 1, comma 751, legge 160/2019, che riproduce senza modifiche l’agevolazione originariamente recata nell’articolo 13, comma 9 bis, Dl 201/2011. Essa stabilisce che sono esenti i fabbricati costruiti e destinati alla vendita dell’impresa costruttrice, finchè permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati.
Nell’ordinanza 10392 la vicenda riguardava un’impresa che aveva acquistato delle unità immobiliari sulle quali aveva effettuato degli interventi di recupero e risanamento conservativo. Una volta ultimati tali interventi, le unità sono state destinate alla vendita e per le stesse quindi è stata applicata l’esenzione Imu su riportata. Come ricordato nell’ordinanza, nel senso della spettanza dell’esenzione si era anche espresso il ministero delle Finanze, con la risoluzione n. 11/Df/2013. La Cassazione è stata tuttavia di diverso avviso, poiché è stato rilevato che nel caso oggetto di esame manca sia la costruzione del fabbricato, al momento dell’acquisto dello stesso, sia la permanente destinazione alla vendita dello stesso, che è intervenuta solo dopo la realizzazione delle opere di risanamento. Per questo motivo, sempre secondo il giudice di legittimità, non sarebbe neppure consentita una interpretazione estensiva della norma, pure ammissibile anche nelle previsioni agevolative, stante l’assenza dei due elementi strutturali su cui la stessa è fondata. Osserva ancora la Corte che nella specie la destinazione alla vendita si configura come un mero intento del contribuente che solo successivamente vi ha dato seguito.
Nell’ordinanza 10394, invece, si trattava di stabilire se la locazione, anche solo temporanea e al limite di alcuni giorni dei fabbricati merce fosse sufficiente per far decadere con effetti permanenti l’esenzione. In senso positivo, si era espresso il Mef, nelle risposte fornite a Telefisco 2014, testualmente richiamato nell’ordinanza. La Cassazione ha aderito alla tesi del Dipartimento delle politiche fiscali, fornendo così un’interpretazione davvero troppo restrittiva della disposizione qui in commento. Rileva al riguardo il giudice di vertice che la locazione, anche se solo di pochi giorni, interrompe la continuità della destinazione alla vendita degli immobili costruiti e dunque determina la caducazione definitiva dell’esenzione. Si è al contrario della convinzione che la locazione temporanea comporti la perdita dell’agevolazione ma solo per i mesi di durata della stessa. Diversamente, si giunge ad una interpretazione manifestamente irragionevole della norma di legge.

 https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/l-esenzione-imu-il-costruttore-vincoli-molto-stretti-AHZNZqQ?cmpid=nl_ntplusfisco

 

30 aprile 2025 | Fonte: https:// ntplusfisco.ilsole24ore.com/

Parchi fotovoltaici su edifici o aree di pertinenza: no all’accatastamento come unità autonome

La Cgt Veneto ripercorre la prassi delle Entrate. Il Comune che accerta Imu e Tasi potrà contestare l’eventuale ammontare della rendita catastale, ma non la mancata dichiarazione.
Continuano a susseguirsi decisioni in giudicati tributari – nonostante i molteplici chiarimenti ministeriali – su questioni riguardanti le modalità di accatastamento degli impianti fotovoltaici che hanno subìto una evoluzione nel tempo sulle modalità di calcolo della rendita, ma non per quelle di accatastamento.
Tra queste rileva la sentenza 5/5/2025 della Cgt Veneto, riguardante questioni di Imu e Tasi, che decide sull’appello di un Comune contro la sentenza n. 291/2024 emessa dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Vicenza, sezione 1, in data 30 giugno 2022, che ha accolto i ricorsi riuniti e annullato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che nessun obbligo di accatastamento autonomo sussisteva nel caso di specie, trattandosi di un impianto fotovoltaico installato in falda alla copertura del capannone industriale di proprietà della ricorrente, condividendo il documento di prassi circolare n. 27/E/2016 dell’agenzia delle Entrate, e quindi ha accolto i ricorsi. L’appellante ritiene che i primi giudici hanno errato nel ritenere che si trattava di un impianto integrato (per il vero nessuno lo sosteneva) poiché non lo è al capannone industriale e che quindi deve essere accatastato autonomamente.
Il giudice d’appello, citando anche la sentenza di Cassazione n. 6840/24, accoglie l’appello e precisa che gli impianti fotovoltaici di grande potenza (parchi fotovoltaici) realizzati allo scopo di produrre energia da immettere nella rete elettrica nazionale per la vendita vanno considerati a tutti gli effetti – ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali – quali beni immobili in quanto la connessione strutturale e funzionale tra il terreno e gli impianti è tale da poterli ritenere sostanzialmente inscindibili, a nulla rilevando che astrattamente sono rimovibili ed installabili in altro luogo.
Nella fattispecie l’oggetto principe della vertenza costituiva la verifica dell’obbligo o meno di accatastamento autonomo di un impianto fotovoltaico non integrato con l’edificio (pannelli fissati alla copertura), cui subordinare la legittimità dell’accertamento. Sotto il profilo tecnico la risposta è fornita dalla stessa circolare 27/E/2016 delle Entrate, che precisa con assoluta chiarezza la prassi catastale: «Con specifico riferimento alle installazioni fotovoltaiche realizzate su edifici e su aree di pertinenza, comuni o esclusive, di fabbricati o unità immobiliari si precisa che non sussiste l’obbligo di accatastamento come unità immobiliari autonome, in quanto possono assimilarsi agli impianti di pertinenza degli immobili». Quindi nel caso in esame non si trattava di appurare solo se un impianto fotovoltaico fosse un immobile, fatto che nessuno poneva in discussione, ma l’assenza di un obbligo all’accatastamento come unità immobiliare autonoma.
Non sussistendo l’obbligo, non si è in presenza di omissione di dichiarazione in catasto di unità immobiliare autonoma, per cui l’accertamento Imu deve riferirsi alla rendita catastale, fatta salva la possibilità del Comune ex comma 336 dell’articolo 1 della legge 311/04 di chiedere una rideterminazione della rendita (in definitiva poi stabilita dall’agenzia delle Entrate) cui correlare l’accertamento sempre che quella in atti non fosse conforme allo stato dell’immobile.

 https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/parchi-fotovoltaici-edifici-o-aree-pertinenza-no-all-accatastamento-come-unita-autonome-AGgiszHD?cmpid=nl_ntplusfisco

 

29 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/

In caso di trust il soggetto passivo IMU è il trustee. Confermata l’applicazione del cumulo giuridico

Il CASO. La ricorrente proponeva ricorso avverso avvisi di accertamento Ici emessi dal Comune di Marostica con riferimento a beni conferiti in trust nel quale era stata nominata trustee, eccependo il difetto di legittimazione passiva e l’omessa applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni.La Suprema Corte (Cassazione n.10405/2025) approfondisce la motivazione che porta a ritenere soggetto passivo ICI/IMU il trustee statuendo che “in caso di beni immobili conferiti in un “trust” traslativo, il soggetto passivo è il “trustee”, siccome divenuto titolare “della” proprietà degli stessi e tenuto, in quanto tale, ad amministrarli ed a sostenerne le spese, non assumendo rilevanza, a tali fini, i limiti ai relativi poteri e doveri imposti dal disponente nell’atto istitutivo e l’effetto segregativo proprio dell’istituto (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16550 del 20/06/2019).L’assenza di personalità giuridica del “trust”, il cui effetto proprio è quello, ex art. 2 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito, esclude che esso possa ritenersi titolare di diritti e tanto meno essere considerato soggetto passivo di imposta, trattandosi di un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al “trustee”.Il trust traslativo non è un ente dotato di personalità giuridica; l’effetto proprio del trust non è quello di dare vita ad un nuovo soggetto di diritto, ma quello di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito (Cass. 9 maggio 2014, n. 10105), per cui va escluso che esso possa essere titolare di diritti e tanto meno essere considerato soggetto passivo di imposta (v. Cass. n. 2043/2017; n. 12718/2017).Si tratta, invece, di un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee (Cass. civ. sez. I, n.3456/2015; Cass. civ. sez. V 25478/2015 Cass. civ. sez. II n. 28363/2011).
La peculiarità dell’istituto risiede nello “sdoppiamento del concetto di proprietà”, tipico dei paesi di common law: la proprietà legale del trust, attribuita al trustee, ne rende quest’ultimo unico titolare dei relativi diritti (sia pure nell’interesse dei beneficiari e per il perseguimento dello scopo definito), ma i beni restano segregati e quindi diventano estranei non soltanto al patrimonio del disponente, ma anche a quello personale del trustee che deve amministrarli e disporne secondo il programma del trust (Cass. civ. sez. III n. 9320/2019; Sez. V n. 16550/2019). Quanto alla sua struttura, nel trust si ravvisa un atto istitutivo, che è l’atto con il quale il disponente esprime la volontà di costituire un trust, e l’atto dispositivo che, invece, è l’atto con il quale il disponente trasferisce, a titolo gratuito, i beni in trust al trustee, atti collegati sebbene distinti.
La responsabilità del trustee – che non risulta aver partecipato all’atto costitutivo – deriva dall’intestazione formale del bene ovvero dall’esercizio di attività, in detta qualità, rilevanti verso l’esterno.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la mancata applicazione del cumulo giuridico

Con riferimento al cumulo giuridico, anche di recente questa Sezione Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24234 del 09/09/2024) ha chiarito quanto segue: la condivisibile considerazione secondo la quale, ai fini dell’applicazione dell’art. 12, comma 5, d.l.gs. n. 472 del 1997, rileva la sussistenza di violazioni della stessa indole, e non già che le singole violazioni siano legate da un nesso di progressione, dà conto della fondatezza del principio di diritto enunciato dalla Corte con riferimento alla sanzione per omesso versamento, alla cui stregua, in ipotesi di più violazioni per omesso o insufficiente versamento dell’imposta relativa ad uno stesso immobile, conseguenti a identici accertamenti per più annualità successive, si è ritenuto applicabile il regime della continuazione attenuata di cui all’art. 12, comma 5, cit. (così Cass., 8 aprile 2022, n. 11432; v., altresì, Cass., 18 luglio 2022, n. 22477Cass., 14 luglio 2010, n. 16526Cass., 2 luglio 2009, n. 15554).
Si è, infatti, consolidato l’orientamento secondo cui, in ipotesi di più violazioni per omesso o insufficiente versamento dell’imposta relativa ad uno stesso immobile, conseguenti a identici accertamenti per più annualità successive, si applica il regime della continuazione attenuata di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, che consente di irrogare un’unica sanzione, pari alla sanzione base aumentata dalla metà al triplo [v. Cass., 8 aprile 2022, n. 11432 (ICI);

 https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43533609

 

29 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/

IMU dovuta sull’unità contigua all’abitazione principale

La Corte (Corte di Cassazione n.9798/2025) ribadisce il principio secondo il quale, nel caso di due singole unità immobiliari, indipendentemente dal fatto che possano trovarsi contigue e utilizzate  come unica abitazione principale, vanno assoggettate separatamente ad imposizione, ciascuna per la propria rendita e l’agevolazione prevista dalla normativa per l’ abitazione principale può essere applicata solo su una di essa, dove il proprietario vi risiede anagraficamente e dimora abitualmente.
Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento con il quale il Comune ha chiesto il pagamento del debito di imposta IMU relativo all’anno 2013, in relazione ad un’unità immobiliare, collegata ad un’altra unità contigua e annessa, seppur catastalmente distinta, intestata alla moglie del ricorrente, unitariamente e funzionalmente utilizzata come abitazione principale della famiglia.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto il concetto di abitazione principale legato a quello di unità immobiliare iscritta al catasto edilizio, mentre lo stesso doveva essere inteso quale centro della famiglia e residenza della medesima.
Il motivo è infondato. La Corte rievoca il già affermato principio di diritto: “in tema di i.m.u., l’esenzione dall’imposta può essere riconosciuta ad un’unica unità immobiliare destinata ad abitazione principale, in virtù del chiaro tenore letterale dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201/2011, conv. in legge n. 214/2011 (ai sensi del quale per «abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare …..») e non può essere estesa, in considerazione della natura di stretta interpretazione delle norme di agevolazione ad ulteriori unità immobiliari contigue, di fatto unificate ed utilizzate anche esse come abitazione principale” (Sez. 5, Ordinanza n.  del 20/02/2024, Rv. 670367 – 01).

 https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43533653

 

29 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/

Il corretto calcolo del CUP per i camion vela accertati in sosta prolungata

Interessante sentenza pronunciata dal Tribunale Ordinario di Pescara in relazione ad un ricorso presentato contro l’avviso di accertamento CUP emesso a carico di una azienda che lasciava un veicolo speciale pubblicitario in sosta prolungata con la pubblicità ben in vista nell’ambito del territorio di competenza dell’ente locale.
Accertata la sosta prolungata del veicolo, l’ufficio provvedeva a elevare sanzione ritenendo che il mezzo dovesse, in quelle determinate circostanze, essere equiparato ad un normale impianto pubblicitario esposto su suolo pubblico.
Dal verbale di contestazione redatto dalla Polizia locale si evidenziava come il mezzo sostava per un periodo superiore a due ore con un messaggio pubblicitario in vista della strada pubblica, circostanza che faceva scattare l’emissione di avviso di accertamento per quanto attiene al CUP, il Canone Unico Patrimoniale che ha sostituito per le iniziative pubblicitarie l’imposta comunale sulla pubblicità.
Nel verbale della Polizia locale si contestava la violazione del comma 3 dell’art. 20 del Regolamento comunale sul canone unico patrimoniale, secondo cui: “La pubblicità visiva effettuata per conto proprio o altrui su veicoli pubblicitari appositamente immatricolati a tale destinazione d’uso ai sensi dell’art. 54 del Codice della Strada, in quanto itinerante, compresi i cosiddetti camion vela non è soggetta ad autorizzazione. La sosta dei veicoli su cui è apposta la pubblicità è consentita per la durata complessiva giornaliera di due ore dopo tale periodo sono considerati statici. La durata della sosta dovrà essere evidenziata con l’esposizione del disco orario al fine di facilitare l’accertamento da parte degli organi territoriali competenti. Trascorso il tempo massimo di sosta il veicolo pubblicitario verrà assimilato ad un impianto fisso e quindi soggetto a presentazione della dichiarazione di inizio pubblicità ed all’autorizzazione comunale. In mancanza di quest’ultima, saranno applicate le sanzioni stabilite dagli art. 23 e 25 del codice della strada e dal suindicato art. 18”.
La disposizione regolamentare è molto chiara ed evidenzia il ruolo di questi veicoli speciali, che rappresentano una tipologia di pubblicità dinamica. Il regolamento specifica come il veicolo trascorso un periodo di sosta superiore a due ore debba essere assimilato ad un impianto fisso, con conseguente regolazione dell’autorizzazione e del pagamento del CUP a favore del Comune sul cui territorio è avvenuta la sosta.
La diffusione pubblicitaria realizzata con i Camion Vela dovrebbe infatti svolgersi solo in movimento; cioè quando la vela presenta un manifesto pubblicitario esposto, dovrebbe circolare sulle strade e consentire la visione agli altri automobilisti e ai pedoni che transitano lungo le aree adiacenti al percorso del veicolo. Di contro, quando invece i mezzi sostano, fatta eccezione per le brevi soste tecniche, dovrebbero oscurare la pubblicità.
Sempre più spesso invece assistiamo all’effetto contrario, i mezzi speciali utilizzati per la propaganda per conto terzi, raggiungono i punti strategici di maggior pregio commerciale, e vengono parcheggiati per intere giornate con la pubblicità ben in vista; spesso in zone dove sarebbe peraltro vietata l’apposizione di qualsiasi cartello pubblicitario, come incroci, rotonde e piazzole di strade ad alto traffico, con passaggi veicolari che permettono di raggiungere migliaia di persone, eludendo le procedure di autorizzazione previste dall’articolo 23 del Codice della Strada e dai Piani Generali degli Impianti Pubblicitari dei Comuni e delle Province.
La sentenza del tribunale di Pescara risulta perfettamente in linea con la giurisprudenza. La sezione V della Cassazione, con la sentenza 5858 del 2012, aveva chiaramente detto che l’autocarro poster che sosta in centro abitato ben visibile per un periodo di tempo prolungato deve essere equiparato a un normale impianto pubblicitario anche dal punto di vista delle imposte.
Un chiarimento importante perché legittima l’attività di vigilanza e di accertamento di quei comuni che non vogliono subire il comportamento scorretto da parte di quelle agenzie pubblicitarie che sfruttano i veicoli speciali per la pubblicità dinamica, organizzando invece delle campagne pubblicitarie statiche in zone di particolare pregio e interesse per i propri clienti.
In questo senso troviamo anche la Circolare n. 62926 del 29 luglio 2008 del Dipartimento per i Trasporti Terrestri e il Trasporto Intermodale che riconduce al rispetto dell’articolo 57 del Regolamento di esecuzione del Codice della Strada chiarendo che: “poiché i veicoli su cui sono applicati messaggi pubblicitari sono mezzi pubblicitari “mobili”, non sottoposti ad autorizzazione, nel momento in cui diventano statici, cioè nel caso di sosta prolungata, è necessario occultare la superficie interessata dalla pubblicità, viceversa tali impianti rientrerebbero nella procedura autorizzatoria prevista per gli impianti fissi.”
Il lavoro dei giudici di Pescara è stato agevolato dalla disciplina regolamentare che ha ben stabilito le regole a cui devono sottostare le pubblicità dinamiche. L’aver fissato il limite temporale delle due ore per valutare quando una sosta diventa “prolungata” è stato decisivo nell’orientare la decisione del tribunale.
Si legge nella sentenza: “Un veicolo in sosta per un periodo prolungato (stabilito dall’art. 20, comma 3 del Regolamento sul C.U.P. nel limite delle due ore) perde le caratteristiche della temporaneità dell’occupazione, consentendo l’equiparazione regolamentare del veicolo all’impianto stabile.”
L’interpretazione data dai giudici, legittima peraltro l’applicazione della tariffa annuale adottata dall’ente locale, che ha calcolato l’indennità, e la conseguente sanzione, secondo il disposto delle lettere g e h del comma 821 della Legge 160/2019. Definire di tipo stabile l’esposizione realizzata dal veicolo pubblicitario in sosta per un periodo superiore alle due ore, ha portato ad applicare la lettera g del comma 821 calcolando il dovuto partendo dalla tariffa ad anno solare.

In riferimento a questo aspetto il Tribunale scrive:
“b.1. In merito al primo aspetto, occorre precisare che l’art. 1, comma 821, lett. g) della legge n. 160/2019 stabilisce: “per le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari realizzate abusivamente, la previsione di un’indennità pari al canone maggiorato fino al 50 per cento, considerando permanenti le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile e presumendo come temporanee le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto da competente pubblico ufficiale”.
La normativa in oggetto prevede che, per le occupazioni stabili, l’indennità sia parametrata al relativo canone (ossia quello annuale), mentre per le occupazioni temporanee, ove vi sia l’accertamento della loro abusività, l’indennità venga parametrata al canone mensile dovuto (ossia ai 30 giorni antecedenti l’accertamento).
Un veicolo in sosta per un periodo prolungato (stabilito dall’art. 20, comma 3 del Regolamento sul C.U.P. nel limite delle due ore) perde le caratteristiche della temporaneità dell’occupazione, consentendo l’equiparazione regolamentare del veicolo all’impianto stabile.”

Se è pacifico che il camion vela pubblicitario in sosta prolungata debba scontare il Canone Unico come un normale impianto pubblicitario collocato lungo o in vista di una strada pubblica, non altrettanto è se considerarlo soggetto al calcolo del canone con applicazione della tariffa annuale piuttosto che temporanea.

Dalla sentenza in commento emerge come il Comune scelse di valutarlo come esposizione permanente per il fatto che il regolamento considera la vela parcheggiata oltre due ore come un impianto di natura stabile, e i giudici del Tribunale seguirono la stessa linea interpretativa. Tuttavia, qualche perplessità rimane. Il camion vela in sosta prolungata rappresenta, ad avviso di chi scrive, comunque un’iniziativa pubblicitaria temporanea, equiparata certamente ad un impianto stabile, ma nel senso di un impianto posizionato su suolo pubblico e non su gomme. La diffusione tuttavia mantiene le caratteristiche di pubblicità temporanea legata alla propaganda di un prodotto, di un servizio, di una specifica iniziativa o evento. Per questo, si riterrebbe più corretto applicare il meccanismo di calcolo dell’indennità fissato nella seconda parte della lettera g del comma 821, quando si presume come temporanee le occupazioni e la diffusione di messaggi pubblicitari effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto da competente pubblico ufficiale.

 https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43533701

 

29 aprile 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/

IMU – ESENZIONE CANONICA – PERTINENZE CULTO

Una parrocchia chiede l’annullamento degli avvisi di accertamento IMU emessi per il recupero del tributo non versato sull’immobile adibito a canonica, ma sul quale non abita il parroco da molto tempo e che risulta pertanto inutilizzata. Il contribuente invoca la norma sulla pertinenzialità rispetto all’immobile adibito al culto (la Chiesa) e non ha mai presentato la dichiarazione IMU.
La normativa dell’IMU, fin dalla sua istituzione, contempla alcune disposizioni che permettono l’esenzione totale dal tributo, con una disciplina  caratterizzata da vicende normative e giurisprudenziali che hanno riguardato soprattutto il mondo degli enti non commerciali.
L’attuale norma di riferimento, vigente dal 2020, è il comma 759 dell’articolo 1 della legge 160/2019.

Legge 160/2019, art. 1 comma 759

  1. Sono esenti dall’imposta, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte:
  2. a) gli immobili posseduti dallo Stato, dai comuni, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dagli enti del Servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali;
  3. b) i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9;
  4. c) i fabbricati con destinazione ad usi culturali di cui all’articolo 5-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601;
  5. d) i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze;
  6. e) i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato tra la Santa Sede e l’Italia, sottoscritto l’11 febbraio 1929 e reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810;
  7. f) i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali è prevista l’esenzione dall’imposta locale sul reddito dei fabbricati in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia;
  8. g) gli immobili posseduti e utilizzati dai soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali delle attività previste nella medesima lettera i); si applicano, altresì, le disposizioni di cui all’articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nonché il regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200.

Ai fini del riscontro al quesito, le disposizioni del comma 759 che proclamano l’esenzione dall’imposta per gli enti religiosi sono due:

la lettera d) i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze

la lettera g) gli immobili posseduti e utilizzati dai soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali delle attività previste nella medesima lettera

Il richiamo ad entrambe le disposizioni è necessario per mantenere distinta la questione dell’obbligo dichiarativo, proclamato come indispensabile ai fini del beneficio da recenti sentenze e ordinanze della Suprema Corte di Cassazione per la fattispecie della lettera g), nella quale trovano collocazione anche le attività i cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222. Si tratta delle attività dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana. Questa è la specifica che deriva dal  DM 200/2012 che ha individuato le attività meritevoli che accedono al beneficio IMU quando svolte direttamente dagli enti non commerciali. In presenza di enti religiosi che, per natura, dal punto di vista soggettivo, sono enti non commerciali, l’immobile destinato alle attività descritte è esente IMU purchè sia stata presentata la dichiarazione IMU prevista appositamente per gli enti non commerciali (attuale DM 24 aprile 2024). Il comma 770 prevede espressamente che la dichiarazione in argomento deve essere presentata ogni anno.
Il rigore previsto per le esenzioni della lettera g) non è il medesimo previsto per la lettera d) che rileva ai fini della soluzione del quesito posto, riguardante immobili di natura pertinenziale all’edificio di culto.  Lo sviluppo giurisprudenziale sugli immobili parrocchiali è ben descritto dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 17679/2024. In tale occasione la Suprema Corte ha precisato alcuni aspetti importanti, andando a coniugare sia la norma di esenzione indicata dalla lettera d) del comma 759 dell’articolo 1 della Legge 160/2019 (presente anche nel precedente regime IMU) sia la disciplina di esenzione indicata dalla lettera g) del medesimo comma.

L’ordinanza risposta i seguenti aspetti fondamentali della lettera d)

oltre agli edifici di culto  l’esenzione si estende alle relative pertinenze (art. 817 cod. civ.), le quali includono non soltanto l’oratorio e le altre strutture nelle quali vengono svolte le attività di catechesi, gli incontri e le iniziative parrocchiali di carattere non commerciale, ma anche le abitazioni per il clero addetto alla chiesa (cioè: alla parrocchia), quelle dei sacrestani assunti con l’apposito contratto e le abitazioni delle religiose operanti per convenzione anche all’interno della pastorale parrocchiale

la casa sita nei pressi di una chiesa destinata, quale casa canonica, ad abitazione del parroco addetto alla chiesa, è pertinenza di questa, senza che assumano rilievo, in senso contrario, né la circostanza che il parroco abbia la residenza anagrafica in altro comune o comunque non risieda, temporaneamente, in quella casa, essendo il vincolo pertinenziale collegato ai beni e non alle persone che si trovano ad operare nei fabbricati in questione (chiesa e casa canonica); né la categoria nella quale la casa canonica risulti iscritta in catasto

resta fermo che il rapporto pertinenziale tra la chiesa parrocchiale e la casa adibita ad abitazione del parroco presuppone una verifica in ordine alla persistenza dell’effettiva destinazione, in quanto il rapporto pertinenziale può ben essere risolto anche da comportamenti concludenti

il contribuente deve limitarsi a dimostrare, sul piano soggettivo, la qualità di ente ecclesiastico e, sul piano oggettivo, la destinazione esclusiva dell’immobile all’attività di  religione o di culto, essendo intrinseca la natura non commerciale dell’attività svolta, laddove grava sull’ente impositore di provare a contrario l’eventuale esercizio di un’attività commerciale

Prima ancora, la Corte di Cassazione con le pronunce 34451/2021, 33766/2021 e 20033/2005 ha affermato che va riconosciuto il carattere pertinenziale dell’alloggio occupato dal parroco alla chiesa parrocchiale. In particolare, la Corte ha affermato che: “secondo quel che comunemente accade si può ritenere sussistente una presunzione, ovviamente suscettibile di prova contraria (nella specie mancata), secondo la quale una casa sita nei pressi della Chiesa normalmente serve e viene utilizzata dal parroco addetto a quella chiesa. Il vincolo pertinenziale è un vincolo che si crea tra due beni a prescindere dalla persona fisica che in quel momento svolge le funzioni di parroco e che, temporaneamente, potrebbe anche non risiedere in quella casa. Quindi, è del tutto irrilevante che nella specie il parroco, nel periodo al quale si riferisce l’accertamento, avesse la residenza anagrafica in altro Comune, essendo il vincolo pertinenziale collegato ai beni e non alle persone che si trovano ad operare in quei fabbricati (Chiesa e casa canonica). D’altra parte, per come ha rilevato la CTR, l’art. 7, comma 1, lettera d) non pone per l’esenzione della pertinenza alcuna condizione (…)

Da questi elementi, ricaviamo che l’immobile oggetto di accertamento (la canonica) è oggettivamente pertinenziale all’edificio di culto che non necessariamente deve essere abitata; in tal caso ciò che potrebbe far venir meno la pertinenzialità è il caso in cui venisse data in locazione e quindi non fosse più utilizzata direttamente come canonica.
Pertanto, il tributo IMU non è dovuto, al di là della questione relativa alla dichiarazione: infatti è ben vero che la giurisprudenza ha confermato l’obbligo dichiarativo con riferimento alle casistiche della lettera g) del comma 759 (ex i) dell’art. 7 del d. lgs 504/92) ma il caso oggetto del quesito si inquadra nella lettera d) del medesimo comma, caratterizzato da una pertinenzialità oggettiva (e le pertinenze ai fini IMU non sono oggetto di dichiarazione).
Ciò premesso, la valutazione dell’ente deve spostarsi sull’opportunità o meno di intervenire in autotutela, nel caso in cui si tratti di avvisi divenuti definitivi da oltre un anno. Infatti, l’ufficio deve inquadrare la tipologia di autotutela per comprendere se il caso rientri nell’articolo 10 quater  (autotutela obbligatoria) della Legge 212/2000 ovvero nell’articolo 10 quinquies della medesima norma (autotutela facoltativa).
La possibilità di intervenire sugli avvisi citati è strettamente connessa alla data di notifica e definitività degli stessi. Infatti, sul punto, è fondamentale valutare la tardività dell’istanza: se avviene ben oltre l’anno dalla definitività dell’atto, anche con eventuale attività coattiva sostenuta, l’ente dovrebbe difendere la sua posizione di vantaggio che la stessa tardività della richiesta ha contribuito a rafforzare.

https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/#showdoc/43533695

 

30 aprile 2025 | Fonte: https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com /

Comuni in difficoltà sulla Tari 2025

La determinazione delle tariffe della Tari non conosce mai pace. Ogni anno, all’approssimarsi della scadenza per l’approvazione delle tariffe, che la norma dell’articolo 3, comma 5-quinquies, del Dl 228/2021 fissa al 30 aprile di ogni anno, si verifica qualche evento che complica la loro approvazione. Negli ultimi anni la causa era in molti casi data dai ritardi nella validazione, da parte del competente ente territoriale, dei piani finanziari, sovente a causa delle difficoltà di costruzione degli stessi da predisporre sulla base delle nuove norme regolatorie dell’Arera (lo scorso anno la deliberazione n. 389/2023).
Questo anno, invece, pur disponendo in molti casi dei piani finanziari già validati dai competenti enti, considerando che il MTR-2 di cui alla deliberazione Arera n. 389/2023 prevedeva dei piani per il biennio 2024-2025, sono intervenute le norme attuative del bonus sociale rifiuti a complicare l’iter di approvazione delle tariffe e dei regolamenti comunali.
Infatti, a distanza di 6 anni dall’approvazione del provvedimento legislativo che aveva introdotto il bonus sociale rifiuti (articolo 57-bis, comma 2, del Dl 124/2019), è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale in data 13/03/2025 il Dpcm del 21/01/2025, contenente i principi e i criteri per la definizione del predetto bonus, decreto che ha previsto il finanziamento dei relativi oneri con l’introduzione di una nuova componente perequativa, che si va ad aggiungere a quelle già esistenti dal 2024 (deliberazione Arera 386/2023).
L’Arera ha rapidamente provveduto a dare attuazione al Dpcm, per quanto riguarda la nuova componente perequativa (UR3), mentre ha rinviato a successivi provvedimenti la definizione delle regole applicative del bonus rifiuti. Che comunque decorrerà, come la componente perequativa, dal 2025.
La nuova componente perequativa, introdotta dalla deliberazione n. 133 del 01/04/2025, ha messo in difficoltà i comuni che, in molti casi, avevano già approvato le tariffe del tributo (sulle quali comunque non incide la componente perequativa) e che talvolta avevano già provveduto all’invio degli avvisi di pagamento ai contribuenti o si erano comunque avviati a farlo. I primi si trovano ora costretti all’invio di un nuovo avviso di pagamento solo per l’addebito della nuova componente perequativa, pari a € 6 a utenza, invio del tutto antieconomico. I secondi, invece, salvo il caso di un velocissimo adeguamento del software gestionale, devono valutare se ritardare l’invio degli avvisi, magari con spostamento della scadenza di pagamento, per mantenere l’invio unico (sul punto la deliberazione Arera 133/2025 consente di derogare alla cadenza semestrale delle rate in caso di invio unico, stabilita dal Tqrif, anche se il comma 688 della legge 147/2013 continua a prevederla), oppure se effettuare due invii, il primo, in acconto ed il secondo a saldo, con addebito della componente perequativa. La prima ipotesi richiederebbe un passaggio in consiglio comunale, competente in materia di scadenze di pagamento, considerato l’annunciato differimento della scadenza per approvare le tariffe ed i regolamenti tari/tariffa al 30 giugno, per effetto dell’emendamento approvato in sede di conversione del decreto Pa.
Il tutto senza considerare che la mancanza delle regole applicative del nuovo bonus sociale rifiuti (il relativo procedimento di Arera si concluderà a fine anno), rende impossibile al momento comprendere come si dovrà procedere alla sua concessione agli aventi diritto, se con un ricalcolo degli avvisi 2025 oppure riconoscendolo a compensazione con il tributo dell’anno 2026.
Il bonus si incrocia poi con le assai frequenti agevolazioni previste dai regolamenti comunali ai sensi dell’articolo 1, comma 660, della legge 147/2013, sovente commisurate all’Isee e spesso di importi ben superiori a quelli stabiliti dal Dpcm. Non è infatti chiaro se il bonus sociale rifiuti, finanziato dalla componente perequativa, si aggiunga alle agevolazioni comunali o sia assorbito da quest’ultime (e quindi con un ristoro parziale in favore dei Comuni delle risorse dagli stessi stanziate per finanziare le agevolazioni).
Peraltro, l’immediata applicazione nel 2025 della componente perequativa, da riversare alla Csea secondo le regole della deliberazione n. 363/2023 ed il riconoscimento del bonus sociale che, con tutta probabilità avverrà ad anno finito, pone problemi anche nella presentazione della dichiarazione alla Csea entro il 31 gennaio 2026, prevista dalla citata deliberazione 386/2023. Tale dichiarazione, infatti, secondo le regole attuali fissate dalla stessa Csea, deve riguardare la componente perequativa addebitata nell’anno precedente. Però, probabilmente, mentre a fine gennaio sarà noto l’importo della componente perequativa addebitata, non altrettanto accadrà per l’importo del bonus sociale rifiuti, il quale, ai fini dichiarativi, va detratto dalla componente perequativa e dal successivo versamento alla Csea (da eseguirsi entro il 15/03/2026).
Altro effetto paradossale è che i contribuenti che rientrano nei requisiti del bonus (Isee non superiore a € 9.530 o € 20.000 nel caso di almeno 4 figli a carico) nel 2025 intanto pagheranno 6 euro in più ad utenza (la componente perequativa che dovranno pagare tutte le utenze), per poi ricevere il bonus probabilmente ad anno concluso.
Insomma, un pasticcio che si poteva evitare facendo decorrere il nuovo bonus e la nuova componente perequativa dal 2026, utilizzando il 2025 per definirne le regole. Ma l’Arera, con la deliberazione n. 176/2025, ha invece confermato l’intero provvedimento n. 133/2025.

 https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com/art/comuni-difficolta-tari-2025-AHo3anW?cmpid=nl_ntediliziapa