TRIBUTI: rassegna stampa N° 9/2025
Rassegna stampa mensile
IMU | TARI | TRIBUTI MINORI
Custodi di equilibrio e rigore: le sfide dei tributi locali nel mese appena trascorso
Cari custodi Responsabili dei tributi comunali, benvenuti al nono numero della Newsletter Tributi del 2025.
Anche questo mese proseguiamo insieme il nostro viaggio tra norme, sentenze e prassi operative, con l’obiettivo di offrire strumenti concreti e aggiornati per affrontare con consapevolezza e rigore l’attività quotidiana negli uffici tributi.
Partiamo da un caso concreto: come ci dobbiamo comportare in caso di area edificabile parzialmente edificata? Il fabbricato ultimato che è stato accatastato dovrà pagare sulla base della rendita catastale mentre ciò che è ancora in corso di costruzione dovrà ancora pagare come area edificabile sulla base dei metri quadrati rimanenti non ancora ultimati.
Per quanto riguarda i temi della rassegna stampa di questo mese tratteremo l’ipotesi di emissione di un nuovo avviso di accertamento, sostitutivo del primo annullato in autotutela, e la contestuale cessazione della materia del contendere in relazione alla prima pretesa impositiva.
Troveremo un interessante articolo relativo ai contratti di vendita con riserva di proprietà dove viene specificato che la soggettività passiva si trasferisce solo al momento del pagamento dell’ultima rata.
Evidenzieremo come il mero tentativo di notifica di una cartella, non andato a buon fine, non determina il perfezionamento dell’adempimento per il mittente e di conseguenza la conoscibilità per il destinatario e l’impedimento della decadenza.
Ci soffermeremo sul fatto ormai assodato che le sanzioni tributarie in caso di morte non si trasmettono agli eredi e sul fatto che in caso di fallimento il curatore è obbligato al pagamento dell’ Imu dall’apertura della procedura concorsuale.
Analizzeremo la sentenza della Cassazione in tema di fabbricati occupati abusivamente nella quale si ribadisce l’esenzione per gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria.
Vedremo che l’articolo 51 del Dlgs 159/2011 dispone la sospensione dei termini per l’adempimento degli obblighi tributari durante il periodo di sequestro preventivo antimafia, che Imu e Tari risultano sospese durante tale sequestro e che tale situazione non comporta l’applicazione di interessi e sanzioni.
Chiudiamo con un concetto che riassume bene il senso del nostro lavoro: presidio. Essere responsabili dei tributi oggi significa presidiare con attenzione ogni norma, ogni scadenza, ogni sentenza. Ma anche ascoltare, interpretare, guidare. Questa newsletter vuole essere uno strumento per farlo meglio, ogni mese.
Con stima e fiducia in un domani più equo,
Paolo Finotto
PROBLEMATICA/QUESITO
Nel 2020 è iniziata la costruzione di un villino con due alloggi.
L’imposta è stata pagata sulla base del valore del terreno.
Nel novembre 2022 un alloggio è stato terminato ed è stato accatastato mediante procedura Doc.Fa. Per questo alloggio è stata proposta una categoria A/7, per l’altro una categoria F/3 (in corso di costruzione).
Da tale data è stata pagata l’IMU sulla base delle rendite proposte.
È corretto?
Soluzione:
Per l’unità immobiliare accatastata è corretto il pagamento sulla base della rendita catastale.
Per la parte del fabbricato non ancora ultimata, il tributo deve essere pagato sull’area fabbricabile ridotta in base al rapporto esistente tra la volumetria complessiva del fabbricato risultante dal progetto approvato e la volumetria della parte autonomamente assoggettata ad imposizione come abitazione ultimata.
RASSEGNA STAMPA
4 agosto 2025 | Fonte: https://www.quotidiano.ilsole24ore.com
Se c’è un nuovo avviso la lite sul primo atto si chiude in automatico
Nell’ipotesi di emissione di un nuovo avviso di accertamento, sostitutivo del primo annullato in autotutela, cessa la materia del contendere in relazione a tale prima pretesa impositiva. Ciò anche quando il secondo atto integri in aumento la richiesta erariale. Questo è il principio di diritto reso dalla Cgt di primo grado di Caltanissetta con la sentenza 200/1/2025 (presidente e relatore Porracciolo).
La Corte ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui l’emissione di un nuovo avviso di accertamento, con il quale l’ufficio ha modificato in aumento il precedente avviso, integrando una pretesa tributaria«nuova» rispetto a quella originaria, sostituisce quello precedente con caducazione d’ufficio di quest’ultimo (Cassazione 3318/2016). Questo principio, già affermato in precedenti pronunce (Cassazione 16704/2007 e 8989/2013), comporta automaticamente la cessazione della materia del contendere nel giudizio relativo al primo atto, venendo meno l’interesse a una decisione su un avviso sulla cui base non possono più essere avanzate pretese tributarie di alcun genere.
La ratio di tale orientamento risiede nella considerazione che il nuovo avviso, integrando una pretesa tributaria sostanzialmente diversa da quella originaria, determina la caducazione dell’atto precedente, rendendo privo di oggetto il relativo contenzioso. Tale effetto si produce automaticamente, indipendentemente dalla volontà delle parti, in quanto conseguenza diretta della natura sostitutiva del secondo atto.
In ogni caso, occorre rilevare che mentre le modifiche in aumento dell’originaria pretesa tributaria richiedono necessariamente l’emissione di un nuovo atto di accertamento (con conseguente caducazione del precedente), le modifiche in diminuzione non comportano la cessazione della materia del contendere (Cassazione 1043/2024).
Inoltre, nel caso di annullamento integrale in autotutela dell’atto impositivo, questo determina sempre la cessazione della materia del contendere (da ultimo, Cassazione902/2025).
Dal punto di vista processuale, la pronuncia chiarisce quindi che la cessazione della materia del contendere conseguente alla sostituzione dell’atto opera automaticamente, senza necessità di specifiche istanze delle parti. Tale effetto si produce in virtù della natura oggettiva del fenomeno, che attiene alla stessa esistenza dell’oggetto del giudizio. Si privilegia, quindi, la sostanza sulla forma e si garantisce l’effettività dell’azione amministrativa senza sacrificare le garanzie processuali del contribuente. Tale equilibrio rappresenta uno degli aspetti più significativi della pronuncia, che continua a costituire un precedente di riferimento nella prassi giurisprudenziale tributaria.
https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20250804&edition=LUNEDI&startpage=1&displaypages=2 ½
4 agosto 2025 | Fonte: https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com
Soggettività passiva IMU nella vendita con riserva della proprietà: il tributo resta in capo al titolare del diritto reale fino al trasferimento definitivo
Con la sentenza n. 741/2025, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sardegna ha affrontato un’importante questione in tema di soggettività passiva dell’IMU nei contratti di compravendita immobiliare stipulati con patto di riserva della proprietà, fornendo chiarimenti utili in assenza di precedenti di legittimità espressamente riferiti alla fattispecie.
La controversia riguardava un immobile ceduto a titolo oneroso con riserva della proprietà da parte di ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), ente pubblico economico operante nel settore agroalimentare, ad un acquirente privato. Il contratto prevedeva che la proprietà dell’immobile sarebbe stata trasferita solo con il pagamento dell’ultima rata del prezzo pattuito, in applicazione dell’art. 1523 c.c.
Secondo tale disposizione, infatti, “nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa con il pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna”. Il Collegio ha richiamato questo principio per affermare che, sino all’integrale pagamento del corrispettivo, la titolarità del diritto reale di proprietà resta in capo al venditore, mentre l’acquirente gode del bene in qualità di detentore qualificato, senza che ciò comporti l’assunzione della soggettività passiva IMU.
La Corte ha evidenziato come l’art. 9, comma 1, del D.lgs. 23/2011 individui espressamente come soggetti passivi dell’IMU il proprietario dell’immobile o il titolare di un diritto reale (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie). Le uniche deroghe previste dal legislatore riguardano il concessionario di aree demaniali e il locatario finanziario. Nessuna disposizione analoga è prevista per la vendita con riserva della proprietà, con la conseguenza che il tributo resta a carico del soggetto formalmente titolare del diritto reale, anche qualora il possesso materiale del bene sia trasferito ad altri.
Con riferimento agli avvisi di accertamento impugnati, il Collegio ha respinto le doglianze sollevate da ISMEA circa la presunta carenza di motivazione degli atti impositivi, ritenendo che gli stessi contenessero gli elementi essenziali dell’an e del quantum della pretesa tributaria. In linea con l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 13402/2020), è stato ritenuto sufficiente che l’atto permetta al contribuente di comprendere le ragioni giuridiche e fattuali della richiesta, in modo da esercitare pienamente il diritto di difesa.
La Corte ha inoltre rigettato la richiesta di esenzione IMU avanzata da ISMEA, rilevando che l’immobile oggetto di accertamento non era utilizzato direttamente per finalità istituzionali al momento dell’imposizione. In tal senso, è stato ribadito l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 16797/2017; Cass. n. 3275/2019; Cass. n. 19773/2019), secondo cui l’esenzione si applica solo qualora il bene sia adibito direttamente, esclusivamente e immediatamente alle attività istituzionali dell’ente, restando esclusa in caso di concessione a terzi, anche a titolo oneroso.
Tenuto conto della natura controversa della questione giuridica trattata e della presenza di orientamenti difformi nella giurisprudenza di merito, il Collegio ha ritenuto equa la compensazione integrale delle spese processuali tra le parti.
Questa pronuncia contribuisce a delineare con maggiore chiarezza i criteri per l’individuazione del soggetto passivo IMU nei casi di vendita con riserva della proprietà, riaffermando il principio secondo cui il tributo continua a gravare sul titolare del diritto reale, fino al momento in cui si perfeziona il trasferimento della proprietà ai sensi dell’art. 1523 c.c., salvo diversa previsione normativa espressa.
https://smart24tributilocali.ilsole24ore.com/?iddoc=43959699#/showdoc/43959699/?ref=notizie_del_giorno_tributi_interno-tributi_interno
4 agosto 2025 | Fonte: https://www.quotidiano.ilsole24ore.com
Il tentativo di notifica della cartella non basta a evitare la decadenza
Il mero tentativo di notifica della cartella, risultato infruttuoso in quanto il contribuente era assente, non determina il perfezionamento dell’adempimento per il mittente e, di conseguenza, la conoscibilità per il destinatario e l’impedimento della decadenza. È, in sintesi, quanto ha stabilito la Corte di giustizia tributaria della Puglia con la sentenza 1066/1/2025 (presidente Ancona, relatore Bianchi) in linea con l’orientamento della Cort edi cassazione.
La vicenda
Nel caso esaminato da giudici pugliesi, la contribuente aveva proposto ricorso contro una cartella di pagamento, ritenendo che il perfezionamento della notifica fosse avvenuto oltre il termine di decadenza previsto dall’articolo 25 del Dpr600/1973 (cioè il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione) dopo due tentativi non andati a buon fine per irreperibilità della stessa contribuente nella propria abitazione.
I giudici di primo grado avevano però respinto il ricorso sostenendo che, in ogni caso, il procedimento di riscossione era stato attivato tempestivamente prima della scadenza del termine previsto dal citato articolo 25 mediante, per l’appunto, i due tempestivi tentativi di notifica non andati a buon fine.
La decisione
I giudici di secondo grado hanno accolto l’appello. In particolare, la Corte ha argomentato che, se è vero che l’agente della riscossione aveva tentato per due volte la notifica della cartella presso l’abitazione ove la contribuente era residente, è anche vero che i tentativi erano stati infruttuosi in quanto la contribuente era assente e la notifica non si era perfezionata in tali date.
Successivamente, al fine di perfezionare la notifica, l’ufficio aveva fatto ricorso alla procedura di cui all’articolo 140 del Codice di procedura civile che prevede che il notificante:
1 depositi la copia dell’atto presso la casa comunale;
2 affigga l’avviso di deposito;
3 invii al destinatario una raccomandata con la quale avvisi del deposito (Cassazione 25351/2020).
Una volta che siano state compiute queste tre formalità, la notifica può dirsi compiuta. Nel caso in esame, però, secondo i giudici la notifica si era perfezionata per il notificante oltre il termine di decadenza, a nulla rilevando che i primi due tentativi di notifica infruttuosi presso l’abitazione della contribuente non fossero andati a buon fine per l’assenza temporanea della stessa.
In effetti, il mero tentativo di notifica, non andato a buon fine, non determina il perfezionamento dell’adempimento per il mittente e di conseguenza la conoscibilità per il destinatario e l’impedimento della decadenza, perché, altrimenti, verrebbe meno la natura recettizia dell’atto in questione.
È infatti pacifico – hanno concluso i giudici – data la funzione della cartella di pagamento, che sia indispensabile che l’atto pervenga nella sfera di conoscibilità del destinatario, che potrà al più dimostrare di non esserne venuto a conoscenza per causa a lui non imputabile, per ritenere legittimamente e validamente notificato l’atto (così anche Ctr Lazio 3815/2021).
https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20250804&edition=LUNEDI&startpage=1&displaypages=2
5 agosto 2025 | Fonte: https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com
Le sanzioni tributarie sono personali e in caso di morte non si trasmettono agli eredi
Una volta che sia documentato il decesso del destinatario delle sanzioni cessa la materia del contendere
Le sanzioni tributarie sono personali e possono riferirsi solo al contribuente e quindi nel caso in cui quest’ultimo deceda viene a cessare la materia del contendere proprio per la loro intrasmissibilità agli eredi. Lo chiarisce la Cassazione con l’ordinanza n. 22476/25
La vicenda
Nella fattispecie un soggetto deteneva investimenti irregolari (omessi) all’estero e sulla base di alcuni fogli sequestrati al contribuente andava individuata il fondamento sul quale dovevano essere calcolate le sanzioni, che era pari a 246.806 euro per l’anno 2008 e pari a 216.840 euro per l’anno 2009.
La Cassazione
E allora – chiarisce la Cassazione – in caso di decesso del contribuente (nella specie avvenuto il 22 giugno 2024), trova applicazione il disposto di cui all’articolo 8 del Dlgs n. 472/1997, che, nel prevedere l’intrasmissibilità agli eredi dell’obbligazione di pagamento della sanzione, detta un principio di ordine generale in quanto corollario del principio della responsabilità personale, specificamente codificato nel precedente articolo 2 del richiamato Dlgs.
Cessa la materia del contendere
I Supremi giudici puntualizzano che il Legislatore ha stabilito in modo chiaro e netto che il credito erariale nascente da una violazione delle leggi tributarie riferibile a persona fisica si estingue con la morte dell’autore della violazione, sicché, una volta che sia documentato il decesso del destinatario delle sanzioni, come nella specie, cessa la materia del contendere. Inoltre nulla va disposto sulle spese, atteso che, come ha sostenuto questa Corte con riguardo alle sanzioni amministrative (si veda anche la sentenza della Cassazione n. 29577 del 2021), ma con principio applicabile anche alle sanzioni tributarie, il sopravvenire della morte della persona destinataria della contestazione, impedisce di procedere nel vaglio dei motivi di doglianza, i quali, pertanto, restano inesplorati, di talché non vi è luogo a regolare le spese e, pertanto, non può trovare applicazione il principio della soccombenza virtuale.
6 agosto 2025 | Fonte: https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com
Immobile occupato abusivamente: Imu non dovuta anche in caso di sequestro preventivo
Accolto il ricorso di una Asl nei confronti del Comune accertatore in relazione all’applicazione dell’imposta per il periodo di imposta 2017 su un bene sequestrato preventivamente.
La dichiarata illegittimità costituzionale della norma che ha introdotto l’esenzione Imu per gli immobili occupati abusivamente, comporta la necessità di un nuovo accertamento di fatto in ordine alla effettiva privazione della disponibilità materiale dell’immobile; la Corte di cassazione, con la sentenza n. 18936/2025, ha accolto il ricorso di una Asl nei confronti del Comune accertatore in relazione all’applicazione dell’Imu per il periodo di imposta 2017 su un immobile oggetto di sequestro preventivo.
I giudici del merito di secondo grado, tra le diverse motivazioni di rigetto del ricorso dell’azienda sanitaria evidenziano che il sequestro preventivo dell’immobile non comportava esenzione dall’imposta e che la disposizione contenuta nell’articolo 1, comma 759, della legge 27 dicembre 2019 n. 160, che prevede l’esenzione per «gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli articoli 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale», non aveva efficacia retroattiva.
L’azienda sanitaria nel ricorso denunciava la violazione e/o falsa applicazione della norma, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’indisponibilità conseguente al sequestro preventivo, non escludesse la sussistenza del presupposto impositivo.
I giudici di legittimità nel richiamare la sentenza della Corte costituzionale 18 aprile 2024 n. 60, ricordano che indipendentemente dalla nozione di possesso cui debba farsi riferimento a proposito dell’Imu, è irragionevole affermare che sussista la capacità contributiva del proprietario che abbia subito l’occupazione abusiva di un immobile che lo renda inutilizzabile e indisponibile e si sia prontamente attivato per denunciarne penalmente l’accaduto, tanto che il legislatore, come già rilevato, è intervenuto con la legge n. 197 del 2022 per dichiarare non dovuta l’imposta in questione.
Evidenzia la Cassazione che laddove, pur escludendo l’efficacia retroattiva dell’articolo 1, comma 81, della legge 29 dicembre 2022 n. 197, il quale aveva introdotto la lettera g-bis) all’articolo 1, comma 759, della legge 27 dicembre 2019 n. 160, la sentenza impugnata aveva erroneamente ribadito che «il proprietario del bene detenuto da terzi in quanto oggetto di abusiva occupazione, è tenuto al versamento Imu in quanto l’occupazione abusiva di un immobile non costituisce una giusta causa di esenzione dal pagamento dell’imposta atteso che la norma di riferimento ricollega l’imposta alla titolarità del diritto e non all’utilizzo del bene o alla sua fruttuosità».
6 agosto 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com
Per l’Imu e la Tari sospese durante il sequestro antimafia non scattano interessi e sanzioni
Il funzionario responsabile del tributo può disporre la rateizzazione anche se manca una disciplina specifica nel regolamento comunale
La Domanda
Considerato che l’articolo 51 del Dlgs 159/2011 dispone la sospensione dei termini per l’adempimento degli obblighi tributari durante il periodo di sequestro preventivo antimafia disposto ai sensi del medesimo decreto, e che l’amministratore giudiziario non ha provveduto al pagamento dei tributi locali (Imu e Tari) per più anni, è possibile – a seguito della sentenza di dissequestro emessa dal Tribunale – disporre l’esclusione o la rinuncia all’applicazione di sanzioni e interessi, trattandosi di mancato versamento imputabile alla sospensione legale dei termini? In assenza di una disciplina specifica nel regolamento comunale in materia di dilazione o rateizzazione dei tributi locali, il funzionario responsabile del tributo o la giunta comunale possono in via amministrativa e motivata, concedere un piano di rateizzazione del debito residuo a carico del contribuente?
La Corte di cassazione (n. 3356/2022; n. 27215/2023) ha chiarito che l’articolo 51, comma 3-bis, del Dlgs 6 settembre 2011, n. 159 ha introdotto «un regime fiscale speciale per i beni immobili oggetto dei provvedimenti di sequestro e confisca non definitiva» e che tale disposizione non comporta la sospensione della potestà di accertamento delle imposte, delle tasse e dei tributi relativi ad immobili, il cui presupposto sia costituito dalla proprietà o dal possesso dei medesimi, limitandosi a disporre solamente la sospensione del relativo pagamento (in luogo dell’esenzione), in relazione ai crediti tributari maturati durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca, fermo restando l’obbligo di adempiere agli ulteriori oneri fiscali, compresi quelli dichiarativi, durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca non definitiva.»
Ancora, la Cassazione 30483/2024 osserva che «l’adozione di una misura di prevenzione non inibisce l’esercizio del potere di accertamento da parte dell’ente impositore e, per conseguenza, non esonera l’amministratore giudiziario della società prevenuta dall’impugnazione dell’atto impositivo dinanzi al giudice tributario per contestare l’an e/o il quantum della pretesa fiscale, i cui presupposti siano insorti in epoca antecedente alla misura di prevenzione (…)» (così Cassazione, sezione T, 25 settembre 2023, n. 27515 cit. che richiama Cassazione, sezioni 6/5, 3 febbraio 2022, n. 3356; nello stesso, amplius, Cassazione, sezione T, 18 gennaio 2024, n. 1898)». Per quanto riguarda il pagamento dei tributi in pendenza di processo, ad avviso della Corte di cassazione (sentenza 30483/2024) trovano applicazione analogica i principi già affermati in materia di legge fallimentare, sicché l’obbligo del pagamento sorge dal momento in cui vi è il dissequestro degli immobili. Ciò comporta che non possano essere richiesti sanzioni ed interessi per il periodo in cui i tributi comunali erano “sospesi”.
Per quanto riguarda la possibilità di rateizzare il versamento dei tributi maturati in pendenza di sequestro, non si ravvedono ostacoli normativi. La rateizzazione può essere disposta alle condizioni stabilite nel regolamento comunale, ed in assenza di regolamentazione alle condizioni stabilite dall’articolo 1, comma 796, legge 160/2019, sebbene non si tratti di versamento conseguente ad atti di accertamento. Ma la particolarità del caso, non disciplinata espressamente dalla normativa – anche considerando che rispetto alla liquidazione giudiziale nel caso del dissequestro non c’è un’entrata da cui attingere per il pagamento dei tributi sospesi – consente di ritenere rateizzabile l’importo complessivamente maturato, ovviamente con l’applicazione degli interessi previsti nel regolamento comunale, ed in difetto, degli interessi legali. Si ritiene, infine, che la competenza circa la concessione della rateizzazione sia esclusivamente in capo al funzionario responsabile del tributo e non certo alla giunta comunale, anche considerando che al funzionario la normativa (per l’Imu si veda l’articolo 1, comma 778, legge 160/2019) attribuisce tutti i poteri per l’esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale, compreso quello di sottoscrivere i provvedimenti afferenti a tali attività, nonché la rappresentanza in giudizio per le controversie relative all’imposta stessa. Quanto alla possibilità di concedere un piano di rateizzazione del debito residuo, in assenza di una specifica disciplina nel regolamento comunale, il funzionario responsabile del tributo o la giunta comunale possono comunque valutare, con adeguata motivazione, la concessione di una dilazione di pagamento, in via amministrativa e nel rispetto dei principi di buona amministrazione e di ragionevolezza.
27 agosto 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com
Tributi locali falcidiabili negli accordi di ristrutturazione
Il Tribunale di Forlì ammette la disponibilità del credito se è conveniente per l’ente
I tributi di cui sono titolari gli enti pubblici territoriali (Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni), pur non potendo essere oggetto della transazione fiscale di cui all’articolo 63 del Codice della crisi, possono essere falcidiati nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 57 del medesimo codice (Adr), se l’accordo è comunque conveniente per l’ente creditore.
Le spinte della Corte dei Conti
Lo ha confermato il Tribunale di Forlì con la sentenza del 14 agosto, in conformità all’indirizzo da tempo espresso dalla Sezione regionale di controllo per la Toscana della Corte dei Conti (a cui aveva fatto seguito un’analoga pronuncia della Sezione regionale dell’Umbria), con la deliberazione 4/2021/ PAR del 15 giugno 2021, emessa in risposta a un quesito con cui un comune chiedeva se fosse legittima l’adesione a un accordo di ristrutturazione che prevedeva il pagamento parziale dell’Imu e delle relative sanzioni.
Negando la possibilità di concordare una riduzione dei crediti di cui sono titolari gli enti pubblici territoriali si finirebbe, infatti, per frustrare le stesse finalità delle norme del Codice della crisi che favoriscono il superamento della crisi da parte del debitore e il miglior soddisfacimento dei creditori, visto che in assenza degli accordi necessari l’impresa debitrice generalmente non paga in misura integrale i propri debiti e ricorre a strumenti, come il concordato, che consentono qualsiasi falcidia.
Non vi è motivo per non applicare il medesimo principio anche nella composizione negoziata della crisi, anche se – occorre precisarlo – con la deliberazione 256/2024/PAR del 24 dicembre 2024) la Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei Conti lo ha escluso, poiché in questo ambito un accordo transattivo dei crediti tributari auto-amministrati non sarebbe possibile, in quanto precluso dalla normativa vigente. Ciò perché, per effetto del principio di indisponibilità del credito tributario, nessuna falcidia sarebbe consentita in assenza di una specifica previsione derogatoria di tale principio, che è prevista, nella composizione negoziata della crisi (Cnc), solo per i crediti erariali e non per quelli locali. Tuttavia, in base a questo principio la stessa preclusione dovrebbe sussistere anche nell’Adr, ma – come ha dimostrato anche il Tribunale di Forlì – così non è, purché l’accordo sia conveniente per l’ente creditore.
La ristrutturazione dei debiti
In realtà, il legislatore, introducendo nell’Adr e nella Cnc un apposito istituto (la transazione fiscale e l’accordo sui debiti tributari), ha semplicemente ritenuto necessario in tali ambiti un particolare procedimento per la ristrutturazione dei debiti erariali, ma non ha escluso la possibilità per gli enti pubblici territoriali di concludere un accordo relativo ai crediti di cui sono titolari in base alle regole generali, pur dovendosi escludere la possibilità di cram down, tipica della transazione fiscale. Sarebbe del resto illogico che i tributi locali fossero assoggettati a un trattamento diverso da quello stabilito per i crediti erariali e godessero persino di maggiori tutele di questi ultimi, nonostante siano assistiti da una causa di prelazione di grado inferiore.
Il Dl federalismo fiscale
Una perfetta omogeneità di trattamento di tali tributi, erariali e locali è prevista dal “decreto sul federalismo fiscale”, in corso di approvazione, il cui articolo 5 prevede l’estensione ai tributi locali della transazione fiscale e degli accordi sui debiti tributari già previsti negli istituti disciplinati dal Codice della crisi, con possibilità di cram down nell’Adr e nel concordato preventivo, ove è consentito.
28 agosto 2025 | Fonte: https://ntplusfisco.ilsole24ore.com
Il curatore paga l’Imu dalla data di inizio della procedura fallimentare
Per la procedura avviata nel 1998 il curatore dovrà considerare le varie aliquote di Ici e Imu vigente nei vari anni senza sanzioni e interessi.
Procedura fallimentare risalente al 1998, con decreto di trasferimento del maggio 2025. Il curatore è tenuto a pagare l’Imu per gli ultimi cinque anni con o senza interessi e sanzioni?
Il curatore è tenuto a pagare l’Ici e l’Imu dal 1998. Occorre infatti considerare che tanto la normativa Ici tanto la normativa Imu dispongono una semplice sospensione del pagamento per il periodo che va dalla sentenza dichiarativa di fallimento fino alla data del decreto di trasferimento. Sul punto si veda la recente Cassazione n. 14026/2025 nella quale si osserva che «affinché una norma possa ascriversi tra quelle agevolatrici non occorre che stabilisca una totale esenzione dal tributo ma appare sufficiente che, come nel caso in esame, detti un regime speciale che esenta il contribuente dal pagamento di interessi e sanzioni o prevede tempi e modi di pagamento differenti da quelli ordinari …. L’articolo 10, comma 6, Dlgs 504/1992 è connotato, invero da una chiara funzione agevolativa, prevedendo, per i contribuenti sottoposti a fallimento ovvero a liquidazione coatta amministrativa, un regime più favorevole, in punto di (più elastico) periodo d’imposta del tributo e di esclusione della debenza di sanzioni ed interessi, elemento questo che evidenzia la natura “eccezionale” della norma». Pertanto, il curatore dovrà versare l’Ici e l’Imu maturata dal 1998 al decreto di trasferimento, considerando le varie aliquote vigente nei vari anni, senza applicazioni di sanzioni ed interessi.
29 agosto 2025 | Fonte: https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com
Risanamento, occorre permettere agli enti locali di rimodulare i patti con il Governo nei limiti della legge
I patti di risanamento sottoscritti tra lo Stato e gli enti locali, previsti dall’articolo 1, comma 573, della Legge 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), hanno rappresentato per decine di Comuni in difficoltà finanziaria una vera e propria àncora di salvezza. Molti di questi enti, già sottoposti a procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (articolo 243-bis del Tuel), hanno potuto accedere a condizioni più sostenibili di rientro dal disavanzo, ottenendo contributi statali e una durata del ripiano fino a vent’anni.
Tuttavia, la rigidità del quadro normativo attuale rischia di trasformare questi patti in camicie di forza, anche quando gli enti hanno agito con eccesso di virtuosismo, prevedendo misure più rigorose di quelle strettamente richieste dalla legge.
È questo il caso di enti che, nel predisporre i patti, hanno anticipato le misure di rientro, prevedendo – ad esempio – una durata del piano inferiore ai 20 anni o importi annui di disavanzo da ripianare superiori a quelli minimi richiesti. In quel momento, l’obiettivo era dimostrare la massima responsabilità amministrativa. Ma oggi, alla prova dei bilanci di previsione e consuntivo, quelle stesse misure mettono a rischio gli equilibri di parte corrente, comprimendo la capacità operativa degli enti e talvolta compromettendo servizi essenziali.
Eppure, paradossalmente, non esiste oggi alcuna possibilità giuridica di rivedere quei patti, anche se si resta pienamente nei margini previsti dalla legge (ad esempio, rientro entro 20 anni o importo complessivo del disavanzo).
Per questo si propone una modifica normativa puntuale, che consenta agli enti aderenti al Patto con il Governo di rimodulare i patti già approvati, esclusivamente nei casi in cui il patto originario preveda misure anticipatorie rispetto ai termini di legge, e sempre entro i seguenti limiti:
- che non si ecceda la durata massima ventennale prevista dalla legge;
- che non si riduca l’importo complessivo di disavanzo da ripianare, ma si possa eventualmente redistribuirlo in modo più sostenibile;
- che le modifiche siano motivate dalla necessità di garantire l’equilibrio di bilancio di parte corrente, in coerenza con l’articolo 162 del Tuel;
- che ci sia parere favorevole dell’organo di revisione e trasmissione del nuovo piano agli organi ministeriali competenti per l’eventuale validazione.
Una simile modifica, da collocare nel Tuel o nella stessa legge 197/2022, non rappresenterebbe affatto una fuga dal risanamento, bensì uno strumento intelligente per non penalizzare l’eccesso di virtù, quando diventa insostenibile.
Il sistema pubblico deve essere in grado di dare fiducia a chi ha fatto meglio del dovuto, senza punirlo con rigidità irragionevoli. Gli enti locali che hanno proposto piani ambiziosi non devono essere imprigionati da quegli stessi piani, specie se la situazione economico-finanziaria richiede un adeguamento responsabile.
È tempo che la norma evolva. Perché anche nel risanamento finanziario, la flessibilità ben regolata è la miglior forma di rigore.
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